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Archive for 18 febbraio 2010

Ricordate la tanta pubblicità che i nostri onorevoli si sono fatti sul test antidroga? Per dimostrare quanto fossero puliti, per poterci dimostrare che potevamo avere fiducia nel loro rispetto della legalità, finivano tutti i giorni sui telegiornali per propagandare questa volontà di trasparenza. Se c’è una cosa che abbiamo imparato sulla nostra classe dirigente, è però quanto questa sia furba. Test antidroga sì. Ma con tutte le prevenzioni del caso: nessuna obbligatorietà e anonimato assicurato. Al test si sono dunque presentati 232 parlamentari (e tutti gli altri?). Risultato: tutti negativi al test. Tranne uno.

Stasera il Tg 1 ha riportato la notizia. Ovviamente senza la pubblicità che garantiva una volta (si sa mai che qualcuno ci facesse troppa attenzione). E ovviamente senza il minimo turbamento per il fatto che un parlamentare fosse risultato positivo.

Siamo certi che di questa cosa non si parlerà più nei prossimi giorni. Eppure qualcuno che fa uso di cocaina c’è nel parlamento. Senza pensare a tutti quelli che non si sono sottoposti al test (perché poi  se non avevano niente da nascondere?). 

Ci si dimentica un po’ troppo spesso che i parlamentari lavorano al servizio del paese: la loro attività di rappresentanza dovrebbe essere trasparente ed esemplare. Questo anonimo che fa uso di cocaina, è l’ennesimo esempio, e purtroppo solo l’ultimo della lista, di come i nostri politici intendano il loro ruolo in maniera un po’ diversa.

Diego Gavini

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Il centro anziani è una realtà di cui si sente spesso parlare, ma che nei fatti si conosce poco. La identifichiamo come un semplice punto di ritrovo, con pochi frequentatori e forse di età troppo avanzata per vederli sommersi nelle più svariate attività. L’incontro con questa realtà offre invece la possibilità di riscattarne l’immagine.

Nel X municipio sono presenti diversi centri anziani. Il presidente del centro della Romanina, Guido Amadio ci ha illustrato come funziona questo punto di aggregazione, le sue attività a livello locale ed al contempo a livello sociale, spiegandoci come questo centro che conta più di 1000 iscritti, è diventato un punto di riferimento non solo per gli anziani ma per l’intera area.

La storia di questo centro anziani nasce nei primi anni ’80, quando gli anziani del quartiere iniziarono a riunirsi nel parco della Romanina, dove vi erano presenti solo un campo di bocce, ancora in terra ed all’aperto, ed  una sorta di “baracca”. Col crescere di questo gruppo, cominciava a farsi sentire, sempre di più, l’esigenza di regolarizzare la propria attività e di costruire una vera e propria sede attorno alla quale si potesse formare un centro anziani riconosciuto a tutti gli effetti. Questa “lotta” si è sviluppata tra gli anni ’80 e ’90. Nell’arco di questi anni viene ottenuta la realizzazione della sede e la copertura del campo di bocce. In occasione di una mostra canile, organizzata in questa sede nel 2002, gli anziani ufficializzano, dopo aver preso contatti con l’allora sindaco Veltroni, la nascita del centro anziani. La mostra diventa così l’occasione per una festa, alla quale participano più di mille persone.

Una volta ottenuta la sede, comincia il lavoro di organizzazione: si avviano le iscrizioni e sempre nel 2002 si elegge per la prima volta il presidente del centro. Intanto i bocciofili si preoccupano della copertura integrale del campo da gioco, finora riparato esclusivamente da un tetto superiore. Legalmente questa chiusura non era però possibile: il presidente ci racconta che, prendendosi le responsabilità del caso e appoggiato dal consenso unanime, fece chiudere lateralmente il campo. Con soddisfazione, ci spiega che il circolo bocciofilo è iscritto alla federazione italiana bocce (FIB) ed ospita importanti tornei. Ed è proprio grazie a questo circolo che molti anziani, fra cui molte donne, si sono avvicinati a questo sport.

Le attività del centro non si limitano esclusivamente al gioco delle bocce o delle carte. A favorire l’aggregazione e ad attirare sempre più iscritti, sono le dinamiche iniziative promosse dal centro: lezioni di ballo con insegnanti esperti, feste ed incontri con importanti personalità, viaggi, gite fuori porte o giornate culturali. Oltre a tutto ciò il centro è diventato tutore del parco che lo circonda, spazio che assume sempre più importanza  in un quartiere sempre più in crescita e trafficato, caratterizzato da un numero sempre crescente di centri commerciali. Dati i risultati ottenuti e grazie ad una costante presenza su tutto il territorio, il presidente afferma che ormai il centro è divenuto un fondamentale punto di riferimento per l’intero quartiere e non solo per gli anziani.

Guido Amadio ci ha poi spiegato come i centri anziani non siano isolati fra di loro, anzi questi si servono di un apparato ben strutturato. Dipendenti dall’assessorato per le politiche sociali, i centri sono in diretto contatto con i municipi, specialmente attraverso la figura del coordinatore, eletto fra i presidenti dei centri anziani del municipio. In questo momento il coordinatore per il decimo municipio è lo stesso Guido Amadio, il quale ci ha descritto quest’attività come “affascinante” in quanto permette di vivere appieno le realtà di tutti i centri anziani, compresi quelli delle altre regioni italiane.

Il presidente conclude dicendo come la relatà dei centri anziani andrebbe rafforzata in tutta Italia, in quanto si è dimostrato un ottimo modello per combattere quella che ormai è una piaga sociale, la solitudine di molti anziani: oltre ad offrire un punto di ritrovo, riesce infatti a rappresentare per molti un posto confortante grazie al quale poter ritrovare una serenità  e a ricreare un calore quasi familiare.

Diego Gavini

Eleonora Muzi

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Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.”

Nel 1967, Gabriel Garcia Marquez, scrittore colombiano, pubblica dopo avervi lavorato sette anni, Cent’anni si solitudine, opera giudicata da più parti come la più importante mai realizzata da uno scrittore sudamericano. Nel 1982, lo aiuterà a vincere il Nobel per la letteratura.

Al centro di questo capolavoro, Macondo, città mitica che ha in sé tutti i tratti arcaici e magici della civiltà precolombiana. Nell’arco di cent’anni, attraverso questa cittadina, fondata per caso, in mezzo a una palude da cui non sembra esservi via d’uscita, ripercorriamo la storia di un Sudamerica ora mitico, ora lacerato dalle guerre interne, ora travolto dall’arrivo dei gringos, gli americani del Nord. A guidarci nell’ascesa iniziale di Macondo e poi nel suo declino, sono le vicende della famiglia Buendìa, giunta a Macondo con i suoi capostipiti, José Arcadio e Ursula.

Romanzo che rappresenta una summa di tutto l’immaginario di Marquez, le sue memorie infantili, i suoi traumi, la sua visione mitologica di una società che si muove fra un crudo realismo e le sue credenze, dove le barriere fra vivi e morti, fra naturale e sovrannaturale, sono estremamente labili. Con un andamento epico, con uno stile in grado di mischiare il minuto realismo, la denuncia sociale, le più stravaganti esagerazioni e a farci apparire credibili le più strane superstizioni, Marquez brucia nell’arco del romanzo la distanza di quasi tremila anni che lo separa da Omero, facendosi cantore di un’intera civiltà, elevando a mito il più piccolo particolare.

Nel fare questo, la storia della famiglia Buendìa si muove in un tempo ciclico, in cui tutto prima o poi ritorna com’è, a partire dalle stesse sei generazioni della famiglia, in cui i nomi dei personaggi si ripetono uguali nel trascorrere degli anni, legando il nome a un destino sempre uguale, a un carattere immutabile. Marquez ci trascina in questo vortice ciclico, in questo tempo che alla lunga appare congelato, con la sua narrazione fatta di flashback e anticipazioni, con un continuo andare avanti e indietro nel tempo, che oltre a creare un ritmo poetico musicale, ci riporta nella dimensione della memoria, dove gli avvenimenti  accorciano le distanze, ed è possibile muoverci fra queste per pure associazioni. Ed è la memoria l’altro grande tema del romanzo: è la memoria che muove la penna dello scrittore (come lo stesso Marquez ebbe a dire nella sua biografia: la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda, e come la si ricorda per raccontarla“), ed è al contempo la memoria del proprio vissuto e la memoria di una civilità arcaica e mitizzata.

Tutti i filoni di questo capolavoro insuperabile (il tempo che ritorna sempre uguale, la memoria liberatrice e ossessionante, i personaggi che si elevano a mito, il realismo magico in grado di far convivere quotidianità e eventi sovrannaturali) finiscono per fondersi in quella che è la vera grandezza di questo libro, ovvero la capacità epica di riportare il tutto a un sentimento universale, la solitudine. E’ infatti la solitudine il filo conduttore di questo romanzo, questo dolore che a volte i personaggi riescono a nascondere, o che tentano di combattere (come l’indimenticabile colonnello Aureliano Buendìa, che confessa di aver scatenato treantadue insurrezioni, per tentare di fuggire questa solitudine) ma da cui finiscono per essere travolti, perché è così che è scritto nel loro destino. E la solitudine di un uomo diventa solitudine di un’intera civiltà.

Diego Gavini

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