Chiusa la tornata elettorale delle elezioni regionali, usciti dal momento delle prime dichiarazioni a caldo, è possibile sviluppare una serie di domande e di riflessioni sull’esito dei risultati.
1) Chi ha vinto le elezioni? Pensiero comune è che ha vinto la destra. A mio avviso è più giusto di parlare di pareggio, anche se più deludente per il centrosinistra che per il centrodestra. Occorre infatti fare un distinguo fra i fattori negativi e quelli positivi. Fra quelli negativi c’è che da un lato, nelle amministrazioni in cui la sinistra era all’opposizione (Lombardia e Veneto), è rimasta non solo minoritaria, ma ha subito una vera e propria disfatta, specialmente in Veneto. Dall’altro lato ha perso quattro regioni precedentemente governate. Ma qua bisogna fare il primo distinguo. In Campania e Calabria ha subito una sconfitta netta. Diverso invece il caso di Piemonte e Lazio, dove l’elettorato si è letteralmente spaccato a metà. Ottantamila voti in più nel Lazio, diecimila in Piemonte, e un deludente pareggio si sarebbe trasformato in grande vittoria. Se si guarda poi alle altre regioni, quelle in cui la sinistra si è confermata, si può notare che ha vinto in due regioni considerate in bilico alla vigilia, come Liguria e Puglia. Tolte poi Toscana ed Emilia, considerate tradizionalmente rosse, il centrosinistra ha riacquistato in Umbria e Marche un consenso che aveva perso alle Europee, mentre si è tenuta stabile in Basilicata di fronte ad un letterale crollo del Pdl. In termini assoluti infine, il centrosinistra si è leggermente ripreso rispetto ai dati delle europee, segnando un’inversione di tendenza dopo che negli ultimi due anni aveva subito un graduale calo di consenso.
2) Il dato che più spicca all’occhio è la disaffezione della gente rispetto alla politica. Questo si è tradotto da un lato in un astensionismo dilagante, dall’altro in un voto di protesta che ha premiato largamente la Lega Nord la quale continua a vivere nel paradosso di fare la ribelle a Nord per poi governare (male) a Roma. E questa protesta ha premiato anche il movimento di Grillo che ha raccolto circa 400 mila voti, risultando peraltro determinante in Piemonte con le sue 100 mila preferenze. Lo stesso Di Pietro vive su questa situazione. In generale non credo che questa disaffezione abbia colpito in maniera maggioritaria il Pdl o piuttosto il Pd. Credo che li abbia colpiti entrambi. E’ dunque su questo terreno, sulla capacità di recuperare questo consenso, che si gioca la partita politica dei prossimi anni.
3) L’altro dato emergente è il clamoroso successo della Lega. Ad impressionare non sono tanto i formidabili dati veneti e lombardi, quanto il 13% che ha raggiunto in Emilia e, nel suo piccolo, il 4% toccato in Umbria, dove non si capisce cosa vi sia di padano. Questi risultati creano però, al di là delle apparenze, anche dei problemi col Pdl, come si è già visto dalla sfuriata di Brunetta che ha accusato la Lega di non aver fatto abbastanza per farlo eleggere a Venezia. Da un lato bisogna vedere come Berlusconi reggerà di fronte ad un alleato sempre più affamato; dall’altro come conterrà i dissidenti interni come Fini, scontenti del crescente strapotere di Bossi. Altra carta poi a favore di Fini è l’evidente calo del Pdl, che in due anni ha perso circa quindici punti percentuali, calo che può essere sfruttato dall’ex leader aennino per evidenziare i problemi di Berlusconi.
4) L’altra faccia di queste elezioni è il fronte della sinistra. Come deve reagire il Pd? Facile: evitando le solite liti interne, dettate più dai personalismi che da vere riflessioni teoriche. Deve poi anche dotarsi di un’identità vera, capire dove vuole andare. Ma per fare ciò deve provare anche a lasciar lavorare Bersani. Solo una segreteria forte riduce il numero di errori e crea consenso attorno a sé. Il dopoelezioni non sembra però andare in questa direzione: già sono arrivate, dalle pagine dei giornali, le critiche di Marino, Veltroni e Franceschini. Bisognerebbe avere invece un po’ di spirito del vecchio Pci: aspre discussioni all’interno, ma capacità di uscire compatti all’esterno. A questo discorso si collega la “percezione” del risultato elettorale. I media e le persone sentono che la sinistra ha perso. Questo perché, tolto Bersani, tutti gli altri uomini di punta del centrosinistra hanno immediatamente iniziato la solita pratica autolesionista di vedere solo ciò che c’è di male, senza piuttosto realizzare un’attenta analisi soppesando elementi negativi ed elementi positivi.
5) Il Pd vive finora, a livello di consensi, una duplice identità: forte nelle grandi città, debole nelle piccole province. A Roma e a Torino, il centrosinistra ha raccolto più di 100 mila voti del centrodestra, a Milano il 26% dei voti rispetto ad uno scarso 20% nel resto della regione, a Venezia il comune è stato conquistato al primo turno. E’ dunque nelle piccole città, nelle realtà dei paesi, dove dominano più il notabilato e le reti di conoscenza rispetto al voto d’opionione, che il Pd deve trovare una strada alternativa.
6) Quando si parla di sinistra si critica molto il Pd, ma a mio avviso il problema reale è ancora più a sinistra. In pochi anni si è assistito ad un vero e proprio tracollo del consenso a doppie cifre di cui godeva Rifondazione Comunista. Sinistra Ecologia e Libertà, è la speranza. Ma dopo aver sostanzialmente confermato i risultati delle europee, deve cominciare a dotarsi di una vera e propria organizzazione. Vivere sul fascino di Vendola non porta lontano. Risulta troppo evidente come, allontanandosi dalla Puglia e salendo a Nord, i voti del partito del governatore pugliese peggiorino esponenzialmente. Dall’altra parte, quello che è rimasto di Rifondazione sembra sempre più destinato ad una lenta morte. Da due anni non fa che attaccare il Pd, ma il tracollo dei risultati ha una causa tutta interna, e legato fondamentalmente a due motivi: da una parte un linguaggio e delle tematiche che sembrano provenire direttamente dagli anni ’70, dall’altro l’aver rinunciato del tutto alla prospettiva di governare.
7) Ultima considerazione, è che sembra già crollato il progetto del bipartitismo. Questo disegno era stato fatto da due persone, Berlusconi e Veltroni, per motivi opposti. Il primo, perché vi vedeva la possibilità di governare senza la scocciatura degli alleati. Il secondo perché credeva di vivere in America invece che in Italia. In un primo momento sembrava anche un progetto realizzabile, tanto che alle politiche il Pdl e il Pd rappresentavano circa il 75% dell’elettorato. Ma dopo il calo delle europee, oggi raccolgono poco più del 50% delle preferenze. Oggi Veltroni ha detto che il Pd deve tornare ad avere una vocazione maggioritaria. Bersani aveva vinto il congresso dicendo che non si poteva vincere da soli. I dati di queste elezioni, ne sono la conferma.
Diego Gavini