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In questi giorni stiamo assistendo ad una campagna mediatica di primo ordine portata avanti dai giornali della destra contro Fini. Non voglio entrare nel merito delle accuse rivolte all’ormai nemico di Berlusconi, né attaccarlo né difenderlo. In questo caso quello che è più importante notare è un altro fattore, ovvero l’ennesima dimostrazione del bassissimo livello dell’informazione in Italia.

A mio avviso un riscontro importante per verificare il grado di democrazia in un paese è il livello qualitativo del mondo dell’informazione. Le campagne portate periodicamente avanti da giornali come “Il giornale” e “Libero”, dimostrano come sia bassa la qualità dell’informazione e quindi della democrazia.

La campagna anti-Fini cosa ci dimostra infatti? Un buon giornalismo? La capacità di rintracciare una notizia scottante e portare avanti una battaglia? No, direi proprio di no. Quello che è evidente è piuttosto la capacità di strumentalizzare una notizia ai propri fini. Una strumentalizzazione che risulta limpida da una veloce analisi dei fatti.

Il fatto principale è ovviamente la notizia della casa di Montecarlo. Ma è uno scoop? Credo proprio di no. La notizia è uscita non a caso appena il presidente della Camera è stato espulso dal Pdl e ha dato vita al proprio gruppo parlamentare. Una coincidenza temporale inquietante, che non può non ricordare i tanti “avvertimenti” mandati da Feltri a Fini nel corso di questi ultimi due anni.

Io mi chiedo: se ora il caso dell’appartamento di Tulliani fa tanto scalpore, perché “Il giornale” o “Libero” non hanno fatto uscire la notizia a tempo debito, quando ne sono venuti a conoscenza? La risposta è semplice: le notizie vanno utilizzate solo per attaccare politicamente i nemici. Se a questo aggiungiamo il fatto che è impossibile pensare che Silvio Berlusconi non detti la linea de Il Giornale ci troviamo di fronte a un quadro in cui i mezzi di informazione abdicano completamente dal proprio ruolo, per assumerne un altro: quello di far uscire “dossier” scottanti da usare a favore dei propri amici, quello di portare avanti discriminazioni mediatiche a favore di altri (chi è che non ricorda il caso Boffo?). Per non dire poi della mancanza di coerenza delle proprie affermazioni: ora si attacca Fini perché “non poteva non sapere”. Berlusconi è stato invece sempre difeso dai giornali a lui vicini proprio invalidando questa teoria. Perché quello che vale per Fini non vale per Berlusconi? Per un semplice motivo, ovvero che non si compie il proprio lavoro con onestà intellettuale, ma ci si comporta da “clienti”.

In un paese in cui la gran parte dei mezzi di comunicazione è nelle mani di un uomo solo tale fenomeno acquista tratti ancora più preoccupanti, perché significa che le notizie non vengono date per quello che sono: vengono monopolizzate, nascoste in qualche fascicolo e poi tirate fuori quando si deve attaccare qualcuno.

Ripeto, la mia preoccupazione non è assolutamente difendere Fini. La mia preoccupazione è che nuovamente constatiamo come  in questo paese la democrazia che deriva dall’informazione è morta.

Diego Gavini

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Cercare di capire come andrà a finire questa crisi interna alla maggioranza e quali ne saranno le conseguenze è una previsione che rimane molto oscura. Quel che è più facile capire è quello che si può volere da questa crisi, gli scenari più graditi; così, almeno per fare delle ipotesi.

Evidentemente andare avanti con questo governo è quanto di più deleterio sia immaginabile. Già ha fatto quanto di peggio ha potuto, ora, con un Berlusconi sempre più ostaggio della Lega, rischieremmo veramente il tracollo.

Ma le elezioni anticipate sono auspicabili? A mio avviso no. Bisogna infatti essere realisti. Avere un nuovo governo fragile, anche se di centro-sinistra, sarebbe un altro duro colpo per il paese (e anche per la sinistra). Perché parlo di governo fragile? Per una serie di ragioni. In primo luogo non è detto che l’accoppiata Berlusconi-Bossi non abbia chance in una nuova tornata elettorale, ed una loro nuova affermazione getterebbe l’Italia nell’abisso; inoltre, se anche i due dovessero perdere, non credo che perderebbero con un grande distacco percentuale, e abbiamo già visto quanto sia costata al secondo Prodi una vittoria risicatissima. In secondo luogo, anche nel caso in cui B&B non avessero i numeri per vincere, chi al momento attuale è pronto per l’alternativa? Non parlo qui di un’inadeguatezza dei partiti di sinistra, ovviamente. Parlo del fatto che i contorni della coalizione che deve sostituire il centro-destra non sono affatto delineati. Casini è dentro o fuori? Chi fa il premier, Bersani, Vendola o qualcun altro? Qual è il ruolo di Rifondazione comunista? Qual è il programma comune dell’attuale opposizione? Mettersi insieme e poi non sapere come governare non è certamente una prospettiva positiva. E in questi giorni si vede un’effettiva fretta. Di Pietro vuole il voto immediato. Vendola vuole il voto immediato. Entrambi però dimostrano una visione più egoistica che costruttiva, a mio avviso. Di Pietro vuole il voto perché sa che in questo momento come minimo raddoppierebbe i propri numeri (ricordiamoci che l’Idv alle elezioni politiche prese circa il 4%, oggi può puntare quasi alla doppia cifra). Vendola, dall’altro lato, vuole il voto per portare il suo partito in parlamento.

Detto questo, non vogliono dire che in Italia non ci sia la massima urgenza di un governo di centro-sinistra e di mettere finalmente Berlusconi ai margini della politica. Ma questa transizione ha bisogno di un minimo di tempo. C’è bisogno di un governo di transizione che modifichi la legge elettorale, che prenda due-tre provvedimenti importanti per la crisi, che metta in un angolo le discussioni sul ddl intercettazioni e qualcun’altro parimenti negativo come quello sull’università. In questo lasso temporale del governo di transizione il centro-sinistra avrà la possibilità, ma soprattutto l’obbligo, di costruire un vero progetto di alternativa.

Costruire una piattaforma seria, superando l’ingenuità di pensare che col voto immediato si risolve tutto, è un atto di responsabilità doveroso. Solo dopo questo atto sarà possibile finalmente mettere la parola fine alla triste pagina della dinastia berlusconiana.

Diego Gavini

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C’è chi fa politica perché crede che sia il modo migliore per favorire il bene comune e chi la fa perché vi vede il modo migliore per avere un tornaconto personale; poi c’è chi la fa e si vede lontano un miglio che sarebbe meglio se cambiasse mestiere, mentre altri la fanno solo per stravaganti manie di grandezza. Quel che è certo è che in molte facce si legge facilmente il motivo per cui sono in politica: in alcune c’è perfidia, in altre un’infinita stupidità, in altre ancora un’esorbitante arroganza. Ma soprattutto in troppe facce si vede come anni di eccessivo contatto col potere riescano a cambiare i lineamenti del viso, ad incattivire gli occhi, a ingrassare le guance per l’eccessivo benessere.

Questa classifica dei peggiori volti della politica non è una graduatoria estetica, non vuole giudicare i belli e i brutti che stanno al potere. E’ una classifica sui politici che al solo guardarli in faccia riescono a suscitare i peggiori sentimenti di riprovazione. Prima di iniziare questa nostra personale graduatoria  avvertiamo che abbiamo raggruppato questi personaggi in gruppi perché spesso far parte dello stesso ambiente muta darwinianamente i lineamenti di esemplari simili tra di loro…

16°) I “difensori” dei diritti civili: Paola Concia e Cristiana Licata (PD)

Senza dubbio le due più combattenti nel Pd sui diritti civili. A tematiche condivisibili corrispondono metodi che però non lo sono affatto. Ma soprattutto, la loro battaglia sui diritti civili è così ampia che si sono elevate anche a tutelatrici delle manifestazioni neofasciste…quando si dice perdere la bussola.

15°) Le donne ministro: Maria Stella Gelmini, Michela Brambilla, Mara Carfagna (Pdl)

 

 

 

 

 

Eccole le donne preferite da Berlusconi. Giovani e belle, quindi in linea con i requisiti minimi per diventare ministro. La Gelmini è passata dall’essere sfiduciata nel consiglio comunale di Desenzano del Garda per inoperosità a volerci spiegare come funziona l’istruzione: se lasciasse il posto alla sorella, che almeno è insegnante, sicuramente farebbe meno danni. La Brambilla fino al 2006 non era nessuno; poi si è inventata i Circoli della Libertà e ha battuto qualunque altra donna in quanto a capacità di venerare l’imperatore, da cui la giusta ricompensa di ministro del turismo. Infine la Carfagna: a questo punto ci potrebbero essere obiezioni, per il fatto che si tratta oggettivamente di una bella donna e che dal suo volto non si notano i danni della politica (tranne che dagli occhi un po’ spiritati). Ma il solo pensiero che sia passata direttamente dai calendari alla poltrona di ministro è uno degli schiaffi più duri a chi pensa ancora che la politica possa essere una cosa seria.

14°) I vecchi radicali: Emma Bonino e Marco Pannella

Da decenni insieme, i due storici leader dei Radicali sono due classici esempi di volti incartapecoriti a forza di dire sempre le stesse cose e di dirle con lo stesso inutile atteggiamento di sentirsi più puri degli altri.

13°) I popolari doc del Pd: Lucio d’Ubaldo e Giuseppe Fioroni

Dal Partito Popolare provengono politici di tutto rispetto come Rosy Bindi e Enrico Letta, per fare solo due esempi. Ma poi anche personaggi come D’Ubaldo e Fioroni. Il primo sarebbe da bocciare solo per essere il perfetto sosia di Craxi, il secondo per quella sua rotondità che in un politico spesso significa pensare prima a mangiare e poi a darsi da fare per gli altri. Ma soprattutto negli occhi di tutti e due c’è quel luccichio dei peggiori democristiani, quelli che, quando vedevano un tavolo, la prima cosa a cui pensavano era come spartirsi le poltrone.

12°) Quelli che si dimettono ma poi restano: Guido Bertolaso e Raffaele Fitto

Del primo si potrebbe pensare che non è un politico, ma bisogna ricordarsi che si tratta di un sottosegretario alla presidenza del consiglio. Il secondo, dalla faccia in apparenza di bravo ragazzo, è ministro agli affari regionali e uomo di riferimento per il Pdl pugliese. Insieme sono coinvolti in così tanti processi da fare invidia a criminali di più alto rango. Ma soprattutto condividono il fatto che, entrambi, quando sono stati un po’ travolti dalle bufere hanno presentato le loro dimissioni: ma entrambi se le sono viste respinte. E ora continuano a sedere allegramente nelle loro poltrone con quella serenità in volto di chi se l’è vista brutta ma che ora può continuare a gustarsi in pace un po’ di potere.

11°) I difensori della civiltà cristiana: Lorenzo Cesa, Paola Binetti, Carlo Giovanardi, Dorina Bianchi e Francesco Rutelli

  

                            

E’ un gruppo estremamente eterogeneo ma accomunato da un paio di caratteristiche. La prima è la loro carriera politica riassumibile nel motto: andiamo dove tira il vento. Tranne Cesa infatti, costante nelle fila dell’Udc, tanto da esserne segretario, abbiamo interessanti itinerari politici. Paola Binetti, proveniente dalla Margherita è oggi nell’Udc dopo essersi resa conto che il Pd è anche un po’ un partito di sinistra con qualche valore laico. Giovanardi ha attraversato tutta l’esperienza centrista per poi fare il salto nelle braccia di Berlusconi. Dorina Bianchi ha compiuto attraversamenti spettacolari nell’arco parlamentare: Pdl, Pd e ora Udc. Il bel Rutelli è invece un maestro in questo genere: Radicali-Verdi-Margherita-Pd-Api. La seconda caratteristica comune è poi il loro spirito di crociata a favore della cattolicità: prima la Chiesa e poi lo Stato. Una tale intransigenza che gli permette di muoversi fra un partito e l’altro senza problemi. Se li guardiamo in volto possiamo leggere la loro tristezza di non essere nati nel medioevo, fra crociate e caccia alle streghe: ora stanno tentando di rimediare con qualche secolo di ritardo.

10°) I lumbard: Roberto Formigoni e Letizia Brichetto Arnalboldi in Moratti (Pdl)

 

 

 

Rispettivamente governatore della Lombardia e sindaco di Milano. Formigoni, esponente di Comunione e Liberazione, appare molto più a suo agio con giacca di pelle e barba volutamente incolta che con liste elettorali e quant’altro, è a metà fra la tipica spocchia milanese e il classico play-boy di provincia che non vuole invecchiare. Letizia Moratti dovrebbe rientrare in questa classifica solo per il nome originale, ma ha guadaganto il suo posto d’onore passando a far danni dalla pubblica istruzione al comune di Milano mantenendo però sempre la stessa espressione di impassibile stupidità.

9°) I fascisti: Ignazio La Russa e Gianni Alemanno (Pdl)

Il ministro della difesa La Russa e il sindaco di Roma Alemanno sono due ex missini passati velocemente al soldo di Berlusconi. Anche se tentano di fare i simpatici in televisione è possibile notare come solo con difficoltà trattengano il tendersi del braccio destro. Mussolini sicuramente li avrebbe promossi sul campo suoi fedeli gerarchi. A questo importante curriculum occorre aggiungere anche i tratti satanici di Ignazio e il progressivo irrigidimento di quelli di Gianni.

8°) Quelli  che dove stanno stanno hanno sempre la stessa faccia: Sandro Bondi, Italo Bocchino e Clemente Mastella

  

  

  

Eccoci di nuovo di fronte a un gruppo eterogeneo che in apparenza non ha nulla in comune: Bondi e Bocchino sono nel Pdl, ma uno è un fedele berlusconiano e l’altro un finiano doc, mentre Mastella è il leader dell’Udeur. Ma a ben vedere hanno un tratto che in assoluto li accomuna: la capacità di avere sempre la stessa faccia a prescindere da quello che dicono. Bondi, al cui solo pensiero di toccargli la pelle c’è da sentirsi male, è un ex comunista che ora sembra passare la vita a scrivere poesie per il suo amore, Berlusconi. Bocchino ha sempre la faccia più arrogante di tutto il parlamento, sia quando difendeva a spada tratta Berlusconi sia ora che si eleva a suo grande critico. Mastella, da buon democristiano, riesce a passare da un fronte politico all’altro con la stessa tranquillità di chi passa dal bagno alla camera: a ogni passaggio però il volto si ingrassa a forza di “mangiare”.

7°) I ministri socialisti: Renato Brunetta, Maurizio Sacconi e Giulio Tremonti (Pdl)

 

Queste tre figure sono fra le più importanti all’interno dell’attuale governo. Tutti e tre provengono dal Partito socialista. L’apparente contraddizione di come sia possibile che  un socialista stia con Berlusconi è facilmente spiegabile visto quello che era diventato il partito socialista con Craxi: un modo per prendersi pezzi di stato. Quindi niente di strano nel passaggio da Craxi a Berlusconi. Tutti e tre sono poi soggetti assolutamente originali. Brunetta, il ministro-poket che si crede Napoleone, l’iracondo, colui che riesce a contenere in un mini-corpo l’ego più vasto del mondo, il fannullone che attacca i fannulloni (chiedere a Tor Vergata dove Brunetta sarebbe professore, ma nessuno lo vede da anni). Poi c’è Sacconi l’uomo che con tutta la calma del mondo parla dell’abuso di Pomigliano d’Arco come di una riforma del lavoro e poi corre a venerare la tomba di Craxi. Infine Giulio Tremonti, il padrone dell’economia, colui che si autoelogia il salvatore del bilancio italiano e intanto vara lo scudo fiscale oppure una manovra che toglie ai ceti medio-bassi e fa ridere i ricchi.

6°) I siciliani: Raffaele Lombardo, Renato Schifani e Totò Cuffaro

  

  

Il primo è il leader dell’Mpa e governatore della Sicilia, il secondo uomo vicinissimo a Berlusconi e presidente del Senato (peraltro con percentuali di presenza bassissime), il terzo ex governatore siciliano e oggi senatore (peraltro dopo la condanna in appello per favoreggiamento a Cosa nostra si è dimesso da ogni incarico dall’Udc pur rimanendo al Senato, nonostante l’interdizione dai pubblici uffici). Parole per descriverli non sono molto necessarie. Limitiamoci alla forza delle immagini e guardiamoli bene. Poi possiamo anche domandarci che una bellissima terra come la Sicilia sia in grado di produrre tutto ciò.

5°) I capigruppo: Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri (Pdl)

  

  

  

Il primo è capogruppo del Pdl alla Camera, il secondo al Senato. Uno viene dal Partito Socialista, l’altro da An, ma ora sono due intimi di Berlusconi. Ricoprire due ruoli tra loro simili li sta facendo assomigliare sempre di più. Per averne una controprova basta avere il coraggio di accendere la tv e guardare il Tg1: li troverete sempre lì, arroganti come non mai a dire sempre le stesse cose come due macchinette.

4°) I portavoce: Paolo Bonaiuti e Daniele Capezzone (Pdl)

  

  

 

 

Bonaiuti è il portavoce di Berlusconi, Capezzone quello del Pdl. Il discorso fatto per Cicchitto e Gasparri vale in gran parte anche in questo caso: la differenza è la sottile capacità di risultare ancora più irritanti dei due sopraccitati, il che equivale a una vera impresa. Ancora più fenomenale Capezzone che, dopo essere stato il delfino di Pannella ha fatto un rivoltone politico degno di nota, passando dalla Rosa nel Pugno per poi approdare nel Pdl. Probabilmente è proprio per farsi perdonare le sue origini che tenta in ogni maniera di dimostrarsi il pidiellino più accanito.

3°) I difensori della legge: Angelino Alfano e Niccolò Ghedini (Pdl)

I due uomini più cari a Berlusconi: il primo è quello che ha il compito di reinventare la legge per evitare al capo tutti i suoi guai legali; il secondo (in tutto e per tutto uguale a Lurch, il maggiordomo della famiglia Addams) è il suo avvocato, mestiere che continua a svolgere dai banchi del parlamento, e il padre della famigerata espressione: “l’utilizzatore finale”. Assolutamente tra le figure più inquietanti del panorama politico nostrano, con il loro sguardo torvo che sembra uscito direttamente da un film dell’horror. Se solo riuscite ad immaginare di andare a cena con due facce simili avete uno stomaco di ferro.

2°) I leghisti: Umberto Bossi, Roberto Cota, Roberto Calderoli, Mario Borghezio e Renzo Bossi

La Lega Nord ricopre sicuramente un ruolo di primo piano nell’arco parlamentare: non riesce ad annoverare fra i suoi esponenti un solo personaggio decentemente discreto o che riesca ad apparire almeno per un attimo simpatico. Quasi come se l’antipatia congenita sia fra i requisiti minimi per accedere nel partito. Ma i quattro personaggi presi in considerazione sono senza dubbio il non plus ultra del peggio che il partito padano riesce ad esprimere. Il posto d’onore tocca a Bossi, l’iracondo secessionista fondatore della Lega, il capo-barbaro. Calderoli è invece colui che, come ha ipotizzato Benigni, “ciò che noi umani non risuciamo neanche ad immaginare”. Giovane ma promettente il governatore Cota, che all’irritazione naturale che suscita il suo sguardo riesce ad unire la voce più fastidiosa nell’intero arco politico. Poi l’esaltato Borghezio, colui che, prima di definire gli immigrati “bastardi islamici da prendere a calci in culo”, sembra aver fatto il bagno in mezzo a una frittura. Come non chiudere però con Bossi jr., la “trota”: se le premesse per il futuro sono queste stiamo a posto.

1°) Il cavaliere e i suoi scudieri: Silvio Berlusconi, Marcello dell’Utri e Gianni Letta (Pdl)

Eccoci arrivati alla triade d’eccellenza. Su Berlusconi bisognerebbe scrivere libri e libri per essere esaurienti, ma basta dire come nel suo volto sono condensati tutti i mali della politica italiana. Allo stesso tempo non bisogna però dimenticare le due menti politiche alle sue spalle: Marcello dell’Utri, ideatore di Forza Italia, colui che, come egli stesso ha dichiarato, si è fatto eleggere per cercare di non avere guai con la giustizia e Gianni Letta, colui che dietro le quinte risolve tutti i problemi di Berlusconi, specialmente presso la Santa Sede. Una triade agghiacciante.

Diego Gavini

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Ogni tanto (anzi quasi sempre ad essere sinceri) mi chiedo: ma in che brutto paese viviamo? Quanto è brutto stare in un paese che si specchia e si riflette in tutto ciò che è sintetizzabile come “berlusconismo”? Ovviamente non è solo Berlusconi il problema. Il problema è che sotto Berlusconi stiamo vivendo un sistema che sta finendo di distruggere questo paese. E alla gente piace (come alla gente piaceva Hitler quando lo votava liberamente).

Questo è un paese in cui nessuno scandalo è mai abbastanza grande. Un premier che passa le sue nottate con delle “signorine”, una “cricca” che mangia tutte le risorse statali, un Brancher, un decreto legge che taglia le gambe alla giustizia (giusto per citare qualche goccia in un mare)… niente scuote più la nostra coscienza.

Ma quello che più mi preoccupa non sono questi scandali (i quali già da soli dovrebbero essere sufficienti). Ciò che è ancora più preoccupante è che tutto questo è solo fango in una palude. Mentre questi signori si fanno favori fra di loro depredando lo Stato e schiaffeggiando il buon senso, cosa succede nel resto della palude? Succede che lo Stato nella scuola si rende protagonista di uno dei più grandi licenziamenti nella storia. Succede che università, ricerca e cultura vengono uccise. Succede che Alitalia viene regalata a qualche amico coi soldi degli italiani. Succede che si legittima il più grande ricatto ai lavoratori: Pomigliano d’Arco. Succede che l’ultima manovra è l’ennesima conferma che lo Stato è tutto sulle spalle dei dipendenti invece che su quelle dei ricchi evasori. Succede, notizia degli ultimi giorni, che l’altra grande azienda italiana, la Telecom, licenzierà 3700 dei suoi dipendenti (peraltro la notizia è solo adesso nota perché a lungo è stata tenuta nel silenzio dai grandi organi di informazione: la mobilitazione nella Telecom è già attiva da mesi).

Ecco che succede in Italia. Tra uno scandalo e all’altro si distrugge il lavoro. Si distruggono i diritti dei lavoratori sfruttando l’occasione aperta dalla crisi. Si licenzia come se nulla fosse. In pratica si ammazza un paese per creare un paese diverso, un paese dominato dal precariato e dalla mancanza di diritti. Ecco che succede fra una Noemi e un Cosentino, fra una barzeletta di Berlusconi e un telegiornale di Minzolini.

E soprattutto ecco che succede mentre ognuno continua a farsi i fatti suoi, mentre si continua a votare Berlusconi. Mentre questa “maggioranza silenziosa” sta rintanata a curare il suo orticello; un orticello che comincia a puzzare di marcio.

Diego Gavini

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Continuiamo ad assistere in questi giorni ai piccoli litigi nella maggioranza. L’ultimo siparietto ci è proposto ancora una volta da Fini e Bossi, fra l’ex aennino che dopo 15 anni di alleanza con il leader del carroccio si sveglia è dice “la Padania non esiste” e il prode Umberto che scalda l’animo della razza padana “10 milioni di persone combattono per la Padania”.

Se non fosse che si tratta di due alti rappresentanti di governo ci sarebbe da ridere. Ma purtroppo di un ministro della repubblica italiana e del presidente della camera si tratta.

Se questa querelle si fosse aperta a sinistra, i giornali uscirebbero con edizioni straordinarie urlando: “è la solita sinistra divisa su tutto”. Invece niente di tutto questo.

Eppure il fatto è preoccupante, per un semplice motivo: è l’ennesima dimostrazione di come, attraverso i siparietti, questa destra è al governo. Il siparietto di riuscire a dire tutto e il contrario di tutto, in modo da mettere tutti d’accordo, come quando Berlusconi esaltava il precariato e poi Tremonti tesseva le lodi del posto fisso.

La situazione è infatti paradossale. Nella maggioranza ritroviamo l’amore per il suolo natio di un nazionalista come Fini, un secessionista come Bossi e, cosa che pochi ricordano, il movimento per l’autonomia, ovvero il partito per l’autonomia della Sicilia di Raffaele Lombardo. In pratica così si riescono a raccattare i voti di chi darebbe il sangue per l’Italia, chi per la Padania e chi per la Sicilia. Sopra a tutti Berlusconi gode: di Padania, Italia e Sicilia a lui poco interessa, basta che può fare il primo ministro, poi basta che alleati, giudici e giornalisti non lo disturbino tanto.

Ma vorrei ricordare una cosa agli elettori del centrodestra. Vorrei ricordare ai finiani che mettere una croce sul Pdl significa dare un voto a Bossi; vorrei ricordare ai “padani” che mettere una croce sulla Lega significa dare un voto a chi vuole fare gli interessi della Sicilia e basta. Fatevi un favore: aprite il vocabolario e cercate la parola “coerenza”. Vi si potrebbe aprire un mondo.

Diego Gavini

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Ammetto di non aver capito bene, come tanti altri, cosa sia esattamente questo federalismo. Questo perché oltre a qualche generico slogan, nessuno ha fornito spiegazioni tecniche di cosa sarà veramente. Probabilmente non lo sanno bene neanche loro. Tra i tanti slogan ce n’è uno, che ama spesso ripetere Maroni, che mi ha colpito. Quello per cui col federalismo sarà possibile combattere meglio l’evasione fiscale, perché i controlli saranno avocati ai comuni che, conoscendo bene gli introiti e lo standard di vita dei propri cittadini, saranno in grado di controllare in maniera migliore l’evasione di quanto sia possibile ad un’istituzione lontana come lo stato.

Questa affermazione mi sembra un condensato di stupidità e di elementi preoccupanti.

Stupidità per delle deduzioni molto logiche che dovrebbero apparire evidenti. Come è possibile credere che i comuni siano in grado di conoscere realmente i redditi dei cittadini?  Questo grado di conoscenza è forse possibile in piccole frazioni, dove ci si conosce tutti, o tutt’al più, in piccoli comuni. Ma se già pensiamo, ad esempio, ad un comune come Grottaferrata, che conta circa 20 mila abitanti, questo ragionamento crolla. Non voglio neanche fare esempi come Roma e Milano, perché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Basta citare città come Parma o Siena.

Allo stesso tempo questa affermazione è doppiamente stupida perché non tiene conto delle realtà locali. Anche laddove il grado di conoscenza reciproca fra gli abitanti è elevato, non saranno certo controlli fiscali più approfonditi ad avere la meglio. Nei piccoli paesi sono infatti le reti clientelari a controllare la vita economica e politica della comunità; gli stessi sindaci sono espressione proprio di queste reti. E non credo dunque che questi sindaci abbiano interesse a rompere troppo le scatole ai loro primi sostenitori, i quali, spesso piccoli commercianti o piccoli imprenditori, sono i primi su cui bisognerebbe fare dei controlli.

Ma al di là della stupidità palese di questo slogan, quel che più mi preoccupa è il limite che vi è insito. Il nocciolo infatti è che lo Stato si sente impotente di fronte all’evasione e, per porre almeno un piccolo argine, deve ricorrere alle voci di paesi o alla denuncia anonima.  In pratica lo Stato rinuncia ad adottare strumenti come la tracciabilità dei pagamenti, i parametri di verifica, oppure quella che dovrebbe essere l’istituzione sacrosanta dell’evasione fiscale come reato penale, e abdica le sue funzioni in favore del chiacchiericcio di paese.

Non sono ideologicamente contrario al federalismo. Ma voglio sapere che idea vince del federalismo. Se il principio è questo (e fra Pdl e Lega è difficile augurarsi di meglio) vuol dire che lo Stato, che in Italia è sempre stato agonizzante, è definitivamente morto.

Diego Gavini

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La rivista online “Farefuturo” torna a far parlare di sé con una serie di articoli contro la Lega Nord. Fondazione che ha come presidente Gianfranco Fini, si è messa molte volte in risalto negli ultimi mesi per le sue prese di posizioni contro la politica del Pdl o degli alleati della Lega. In pratica la voce scritta di Fini, di cui abbiamo parlato anche in questo blog. Spesso Farefuturo ha assunto posizioni in parte condivisibili, ma in questa sua crociata pro-Fini, ha questa volta preso una toppa clamorosa, che ci ricorda ancora una volta i limiti “dell’azione” dello stesso presidente della camera: in pratica l’essere fornito di memoria molto breve.

Gli articoli a cui mi riferisco sono del direttore della rivista on-line, Filippo Rossi, intitolati: “Ma se la Lega cambiasse l’articolo 1 del suo statuto?” e “Qualche domanda alla Lega, così, tanto per capire…”. Articoli in cui Rossi afferma tutte cose sacrosante. Ad esempio denuncia il primo articolo dello statuto della Lega che recita: “la Padania attraverso metodi democratici ha la finalità di ottenere il riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”. In pratica la famosa secessione che poco ha a che vedere col giuramento davanti alla Costituzione dei vari ministri leghisti.

Rossi coglie nel segno anche quando afferma che ai leghisti piace sempre fare un po’ di casino parlando di Padania libera e via dicendo, per poi sedere molto a loro agio a Roma e, alla secessione, non è che ci pensano poi così tanto.

Sottoscrivo ogni parola del direttore di Farefuturo, ma voglio fargli qualche domanda. Si è reso conto che lo statuto della Lega è lo stesso da anni e che non è cambiato ieri? Soprattutto: lo conosceva lo statuto della Lega quando è andato a votare per il Pdl, alleato della Lega? Lo stesso Fini, che ora se la prende tanto per la deriva leghista, si rende conto che è alleato della Lega da anni?

Credo che nella vita serva onestà intellettuale. Sbagliare è umano, e sono d’accordo. Ma rendersi conto degli errori è possibile: meglio tardi che mai, come si dice. Se Fini si è finalmente reso conto di che partito è la Lega, perché non dice “io con questi non ci governo più” e lancia un ultimatum: “o io o loro”. Sia coerente con quel che dice, solo a quel punto sarà credibile.

Diego Gavini

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A quanto pare la redazione di “Chi l’ha visto?” sta preparando una puntata speciale su Gianfranco Fini e Italo Bocchino. Famigliari e colleghi di partito sono infatti preoccupati: sono giorni che non ne hanno più notizia. Come non dargli torto. Da giorni sono usciti tristemente di scena, dopo che per settimane avevano tenuto il Pdl e il paese col fiato sospeso.

Tutti che si domandavano: e ora che succederà? Fini fa un partito suo o va con Casini? Il governo cade? Già, perché stavamo assistendo a qualcosa di realmente inusuale: qualcuno si stava ribellando al padrone. Non era chiaro se lo faceva per tornaconto personale o se per un reale spirito civico, nel “sogno” di costruire una destra moderna. Ma lo faceva. E ne stavamo vedendo di tutti i colori. C’erano ad esempio Fini e Berlusconi che si massacravano in diretta tv alla direzione del Pdl. Oppure c’era Bocchino che si dimetteva da vice capogruppo alla camera e denunciava: “mi hanno epurato”. E poi c’erano le trasmissioni televisive che dovevano per forza invitare due ospiti del Pdl, un finiano e un berlusconiano, come se ormai fossero due partiti diversi. E c’era anche la blasfemia, con Fini che arrivava a dire che l’inno rivolto a sua maestà, “meno male che Silvio c’è”, non è che gli piacesse tanto, anzi. E c’era addirittura il Pd che rischiava di spaccarsi: bisognava mettersi d’accordo con Fini o non dargli credito?

Per giorni e giorni si andava avanti così. La sera accendevamo la tv e ci chiedevamo: chissà che hanno combinato oggi Fini e Berlusconi. Già, perché ormai Fini faceva opposizione a tutto spiano al premier. Non gli andava bene la gestione del partito, non gli piaceva la sudditanza nei confronti della Lega, diceva che la politica del governo non rispettava le promesse. Non c’era più niente su cui il vecchio camerata Gianfranco non facesse sentire la sua voce. Faceva quasi più opposizione lui del Pd e di Di Pietro. E tutti a pensare: “alla fine ce l’ha fatta pure lui a svegliarsi e a vedere con chi si è messo da quindici anni”.

E poi, da un momento a un altro, mentre tutti attendevamo la bomba definitiva…silenzio. Fini e il suo fedele Bocchino, sono scomparsi. Di loro, non si è più sentito parlare. Tutte le richieste di migliorare la gestione del partito e la guida della nazione, sparite nel nulla. Quello che ora c’è domandarsi è molto semplice. Si è trattato di una ritirata dopo che hanno ottenuto qualche regalino, oppure se la sono data a gambe dopo che si sono accorti di essere rimasti soli?

Chi ha informazioni a riguardo si faccia avanti.

Diego Gavini

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E’ giunta questa mattina l’autorizzazione definitiva per la manifestazione organizzata dai neo-fascisti di Blocco Studentesco e Casa Pound, prevista il 7 maggio a Piazza Repubblica. Per ottenere l’autorizzazione, è stato decisivo l’attivismo dei consiglieri del Pdl (e poi si dice che le istituzioni non sono al servizio dei cittadini!) che hanno perorato la causa dei due movimenti presso il questore.

Continua dunque la legittimazione di questi gruppi di picchiatori neo-fascisti (ed anche neo-nazisti), in barba alla Costituzione e alla Storia. Questa manifestazione potrebbe essere definita un fatto scandaloso, ma sarebbe sbagliato etichettarla in questa maniera. Un fatto va definito scandaloso quando devia dalla norma consetudinaria. Qui invece ci troviamo di fronte ad una legittimazione costante e crescente del movimento neo-fascista, quindi più che di fatto scandaloso, occorre parlare di clima scandaloso, oltre che putrido e pericoloso.

Purtroppo ci attendono ancora altri tre anni su queste note, ovvero il lungo periodo alla fine del quale decadrà il mandato di Alemanno. Responsabile principale del riconoscimento di Blocco Studentesco e Casa Pound, è infatti certamente il sindaco romano, ex picchiatore fascista, eletto anche con i voti di questi due gruppi; considerando poi la buona compagnia che ad Alemanno fa ora la Polverini, anche lei eletta coi voti neo-fascisti, questi tre anni appaiono ancora più lunghi.

Diego Gavini 

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Continua lo scontro intestino nel Pdl che continua a falcidiare l’azione del partito di Berlusconi. Bocchino, l’uomo più vicino a Fini, si dimette da vicario del gruppo del Pdl alla Camera. Obiettivo è quello di far dimettere Cicchitto ed indire nuove elezioni interne. Bocchino afferma infatti che la sua posizione e quella del capogruppo sono collegate: se va via lui, decade anche il mandato del capogruppo (ma a tal proposito è già arrivato un comunicato stampa del Pdl che smentisce questa versione, affermando che solo nel caso contrario, ovvero in presenza di dimissioni del capogruppo, le due cariche sono collegate).

A cosa punta Bocchino? Ad una conta interna. Il fedele finiano, ha infatti già chiarito, nella lettera di dimissioni presentata a Cicchitto, di volersi candidare come nuovo leader dei parlamentari pidiellini. Ovviamente sa bene di non avere i numeri per aspirare a tale ruolo, ma a tal proposito è molto chiaro. Scrive infatti Bocchino all’attuale capogruppo: ” ho il dovere di comunicarti che all’assemblea del gruppo presenterò la mia candidatura a presidente contrapposta alla tua o a quella di altri. Ciò non per distanza politica o personale da te, ma per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo, di verificare le sue forze e conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso”.

Questa vicenda dimostra che, dopo il clamoroso scontro fra Berlusconi e Fini alla direzione nazionale, il contrasto interno è ben lungi dal risolversi. Una prima conta dei finiani è già andata male, considerando i pochissimi che non hanno firmato il documento redatto al termine della direzione del Pdl; ora si punta ad una nuova conta fra i deputati, per verificare le reali forze di Fini.

La mia opinione è che questo scontro sia destinato a sancire la sconfitta di Fini più che a far cadere il governo o piuttosto a far cambiare la linea della politica di Berlusconi. L’ex leader di An, tradito dai suoi ex-colonelli, sembra infatti godere di uno scarsissimo appoggio interno.

Questo, presumibilmente, non può che provocare due conseguenze. La prima è la possibilità di una emarginazione politica di Fini che ha aperto una faida ma non ha i numeri per supportarla. Dal momento che la sua area non mette a rischio la tenuta di Berlusconi, il presidente della Camera o, ritorna sui suoi passi con un clamoroso mea culpa (il che a questo punto appare improbabile), o va incontro ad una vendetta del Cavaliere, appunto con un’esclusione di Fini. La seconda conseguenza (peraltro molto più pronosticabile) è l’ascesa sempre più irresistibile della Lega: un Pdl più debole, coincide infatti con una Lega più forte. Dal momento che già abbiamo visto cosa è in grado di fare il partito di Bossi con qualche voto in più in mano, non oso neanche immaginare cosa farà quando il suo apporto più che fondamentale apparirà imprescindibile.

Fuori da queste previsioni, rimangono scenari solo molto nebulosi. Uno potrebbe essere una fuoriuscita di Fini dal Pdl con la creazione di un partito al 4-5% che si allei magari con l’Udc e che forse dia vita ad una sorta di governo tecnico col Pd allo scopo di cambiare la legge elettorale e tagliare le gambe di Berlusconi. Ma, appunto, qua siamo molto sul nebuloso.

Diego Gavini 

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