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Posts Tagged ‘elezioni’

Cercare di capire come andrà a finire questa crisi interna alla maggioranza e quali ne saranno le conseguenze è una previsione che rimane molto oscura. Quel che è più facile capire è quello che si può volere da questa crisi, gli scenari più graditi; così, almeno per fare delle ipotesi.

Evidentemente andare avanti con questo governo è quanto di più deleterio sia immaginabile. Già ha fatto quanto di peggio ha potuto, ora, con un Berlusconi sempre più ostaggio della Lega, rischieremmo veramente il tracollo.

Ma le elezioni anticipate sono auspicabili? A mio avviso no. Bisogna infatti essere realisti. Avere un nuovo governo fragile, anche se di centro-sinistra, sarebbe un altro duro colpo per il paese (e anche per la sinistra). Perché parlo di governo fragile? Per una serie di ragioni. In primo luogo non è detto che l’accoppiata Berlusconi-Bossi non abbia chance in una nuova tornata elettorale, ed una loro nuova affermazione getterebbe l’Italia nell’abisso; inoltre, se anche i due dovessero perdere, non credo che perderebbero con un grande distacco percentuale, e abbiamo già visto quanto sia costata al secondo Prodi una vittoria risicatissima. In secondo luogo, anche nel caso in cui B&B non avessero i numeri per vincere, chi al momento attuale è pronto per l’alternativa? Non parlo qui di un’inadeguatezza dei partiti di sinistra, ovviamente. Parlo del fatto che i contorni della coalizione che deve sostituire il centro-destra non sono affatto delineati. Casini è dentro o fuori? Chi fa il premier, Bersani, Vendola o qualcun altro? Qual è il ruolo di Rifondazione comunista? Qual è il programma comune dell’attuale opposizione? Mettersi insieme e poi non sapere come governare non è certamente una prospettiva positiva. E in questi giorni si vede un’effettiva fretta. Di Pietro vuole il voto immediato. Vendola vuole il voto immediato. Entrambi però dimostrano una visione più egoistica che costruttiva, a mio avviso. Di Pietro vuole il voto perché sa che in questo momento come minimo raddoppierebbe i propri numeri (ricordiamoci che l’Idv alle elezioni politiche prese circa il 4%, oggi può puntare quasi alla doppia cifra). Vendola, dall’altro lato, vuole il voto per portare il suo partito in parlamento.

Detto questo, non vogliono dire che in Italia non ci sia la massima urgenza di un governo di centro-sinistra e di mettere finalmente Berlusconi ai margini della politica. Ma questa transizione ha bisogno di un minimo di tempo. C’è bisogno di un governo di transizione che modifichi la legge elettorale, che prenda due-tre provvedimenti importanti per la crisi, che metta in un angolo le discussioni sul ddl intercettazioni e qualcun’altro parimenti negativo come quello sull’università. In questo lasso temporale del governo di transizione il centro-sinistra avrà la possibilità, ma soprattutto l’obbligo, di costruire un vero progetto di alternativa.

Costruire una piattaforma seria, superando l’ingenuità di pensare che col voto immediato si risolve tutto, è un atto di responsabilità doveroso. Solo dopo questo atto sarà possibile finalmente mettere la parola fine alla triste pagina della dinastia berlusconiana.

Diego Gavini

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Alle undici di mattina, con appena 33 seggi (su 650 in totale) ancora da assegnare, è ormai chiara l’affermazione dei conservatori guidati da Cameron. Affermazione però solo relativa. Al momento i tories guadagnano 291 seggi (secondo le proiezioni chiuderanno a 305), ma per avere la maggioranza assoluta (in Inghilterra non c’è premio di maggioranza per il partito con più consensi), ne servono 326: ne mancando dunque 35. I laburisti di Brown si attestano per il momento a 249 seggi (ma dovrebbero arrivare a 255), mentre delude Clegg, leader dei liberal-democratici dati in forte ascesa alla vigilia delle elezioni, ma che si fermano a 51 seggi (e forse arriveranno a 61). Gli altri partiti minori raccolgono in totale 27 seggi.

Per la prima volta dal 1974, nessun partito riesce ad ottenere la maggioranza assoluta, per cui bisognerà dare vita ad un governo di coalizione. Il partito più forte è quello di Cameron, ma il primo tentativo di formare il governo, sarà di Brown: la prassi inglese vuole infatti che sia il primo ministro uscente ad avere la parola iniziale. Si prefigura così l’idea di un’alleanza dei laburisti con i lib-dems: ma neanche insieme i due partiti riuscirebbero ad avere la maggioranza assoluta. L’altra alternativa è ovviamente un governo guidato da Cameron, ma anche così sorgerebbero difficoltà, perché serve l’appoggio dei partiti minori, fra cui il più probabile è quello degli Unionisti Irlandesi.

Per gli sviluppi decisivi, occorre dunque aspettare. In primo luogo aspettare di vedere a chi saranno assegnati i seggi restanti. In secondo di capire come si svilupperanno le dinamiche politiche e le possibilità di alleanze. Quel che per ora è certo, è che l’incertezza sull’esito ha già avuto forti ripercussioni sulla sterlina. Come si dice, il tempo è denaro.

D. G.

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Domenica 28 marzo e lunedì 29, 40 milioni di italiani sono chiamati al voto. Le urne rimaranno aperte la domenica dalle ore 8.00 alle 22.00, il lunedì dalle 7.00 alle 15.00. Il voto principale riguarda le tredici regioni che dovranno rinnovare la loro giunta: Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Umbria, Lazio, Toscana, Marche, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Lombardia e Veneto. Si voterà anche in quattro Provincie, Imperia, Viterbo, L’Aquila e Caserta, oltre che in 463 comuni, fra cui Macerata, Mantova e Venezia.

Lo scrutinio per le elezioni regionali si avrà lo stesso lunedì pomeriggio, mentre quello per le elezioni provinciali e comunali avverrà il martedì.

Per quanto riguarda le elezioni regionali, in special modo per il Lazio, ricordiamo che la tornata è unica, non vi è il ballottaggio; si vota sulla scheda di colore verde. Le possibilità per esprimere le proprie preferenze sono:

-si può votare esclusivamente il candidato presidente mettendo una croce sul suo nome

-si può votare una lista senza porre la croce sul candidato, a cui comunque andrà automaticamente la preferenza

-si può effettuare un voto disgiunto, votando un candidato presidente ed una lista collegata ad un altro candidato

-si può infine esprimere una sola preferenza per un candidato consigliere, mettendo una croce sulla lista provinciale e scrivendo accanto il cognome che si intende indicare

I candidati governatori nel Lazio sono:

Emma Bonino sostenuta  da: Pd, Idv, Lista Bonino-Pannella, Sel, Sinistra

Renata Polverini sostenuta da: Pdl, Udc, La destra

Roberto Fiore candidato di Forza Nuova

Marzia Marzoli candidata della Rete dei Cittadini

Nelle altre regioni, gli scontri principali sono:

-Calabria: Loiero (Pd), Scopelliti (Pdl e Udc), Callipo (Idv)

-Basilicata: De Filippo (centrosinistra più Udc), Pagliuca (Pdl)

-Campania: De Luca (Pd, Sel, Idv), Caldoro (Pdl)

-Puglia: Vendola (centrosinistra), Palese (Pdl), Poli Bortone (Udc)

-Umbria: Marini (centrosinistra), Modena (Pdl), Binetti (Udc)

-Toscana: Rossi (centrosinistra), Faenzi (Pdl e Lega), Bosi (Udc)

-Marche: Spacca (Pd, Idv, Udc), Marinelli (Pdl e Lega), Rossi (sinistra)

-Emilia Romagna: Errani (centrosinistra), Bernini (Pdl e Lega), Galletti (Udc)

-Liguria: Burlando (centrosinistra più Udc), Biasotti (Pdl e Lega)

-Piemonte: Bresso (centrosinistra più Udc), Cota (Lega e Pdl)

-Lombardia: Penati (Pd, Idv, Sel), Formigoni (Pdl e Lega), Pezzotta (Udc)

-Veneto: Bortolussi (centrosinistra), Zaia (Lega e Pdl), De Poli (Udc)

Buon voto a tutti e mi raccomando andate a votare. Nel dubbio, votate con la sinistra…

 

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Solitamente tutte le fazioni politiche, nessuna esclusa, hanno il vizio di non fare pronostici sul risultato delle elezioni che verranno da lì a poco. Non si dice mai: considereremo una vittoria un risultato X, considereremo una sconfitta un risultato Y. Il motivo è semplice e molto chiaro: se ci si sbilancia troppo è poi difficile fare retromarcia ed ammettere una sconfitta. Così, tutti stanno in silenzio ad attendere i risultati certi (non prendono posizione neanche durante le proiezioni), in modo poi da sapersi regolare. Risultato: nove partiti su dieci affermano di aver vinto le elezioni. O perlomeno di non averle perse.

Con l’aria che sta tirando questi giorni, il centro-destra ha però cambiato le regole del gioco e con un colpo da maestro, Bonaiuti ha messo le mani avanti: “anche se vinciamo in sole quattro regioni, la sinistra deve capire che ha perso le elezioni”. Fenomenale. Ha praticamente detto: come va va abbiamo vinto noi. Ha fissato un limite talmente basso che ogni risultato potrà essere accolto, almeno davanti alle telecamere, con entusiasmo.

Evidentemente la realtà è differente. Un eventuale 9-4 per la sinistra andrebbe considerato un grave insuccesso per il governo. Ma voglio aggiungere di più: se la gara finisce sostanzialmente pari, in pratica un 7-6 per una delle due parti, la vittoria è comunque del centro-sinistra.

Il motivo è molto semplice. Si parte in questo momento da 11 regioni governate dal centro-sinistra e 2 dal centro-destra. E’ per questo motivo che Bonaiuti afferma che 9-4 sarebbe un successo, perché significherebbe aver strappato due regioni all’opposizione. Ma il paragone non può essere dato dalla tornata elettorale di cinque anni fa. Allora la situazione era estremamente differente, in quanto Berlusconi era ai minimi storici della sua sempre più inspiegabile popolarità, ed andò incontro ad un netto rifiuto, da parte dell’elettorato, della sua politica. In cinque anni è cambiato molto. Il Pdl ha vinto agevolmente, assieme alla Lega, le elezioni politiche del 2008. Ha tendenzialmente confermato questo vantaggio alle Europee dell’anno scorso. In entrambe le occasioni, le uniche regioni in cui si è votato più a favore della sinistra che della destra, sono state le cosidette zone rosse: Toscana, Emilia, Umbria e Marche (la quale oggi è peraltro considerata in bilico fra i due schieramenti). Questo vuol dire che non si parte dall’11 a 2 di cinque anni fa, ma dal 9 a 4 per la destra dell’anno scorso. Per questo dico che se la sinistra riesce a prevalere al di fuori delle regioni rosse ha vinto, perché significa che è riuscita ad invertire la tendenza che l’ha vista sempre più minoritaria in questi ultimi due anni. Se poi riesce a prevalere in più di sette regioni e ad avere, a livello nazionale, percentuali elettorali in risalita rispetto alle Europee, la vittoria può diventare un grande successo.

Ma questo non verrà mai ammesso. Se tutti i politici sono maestri nel camuffare la realtà e a giocare con i numeri, gli esponenti del centro-destra meritano una laurea ad honorem da questo punto di vista.

Diego Gavini

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Il ricorso del Pdl per far riammettere la propria lista nel colleggio di Roma e Provincia, subisce l’ennesima bocciatura. Quest’ultima del Consiglio di Stato è però finalmente definitiva, quindi oggi è sicuro che a Roma non si potranno votare i candidati del Pdl.

Bocciata anche la richiesta di Sgarbi. Escluso in un primo momento dalla corsa alle regionali, riammesso pochi giorni fa, aveva chiesto di rinviare le elezioni per permettergli di svolgere la campagna elettorale. La Regione si è espressa in maniera contraria, dunque si vota come previsto il 28 e il 29 marzo. In maniera decisamente ridicola, Sgarbi ha annunciato che chiederà alla Regione 20 milioni di risarcimento danni. Ridicolo, perché, chi vive a Roma, sa che Sgarbi fa campagna elettorale da mesi e i suoi manifesti sono apparsi ben prima di quelli degli altri partiti.

Finalmente si chiude così la bagarre su queste benedette elezioni, in bilico fino all’ultimo da più punti di vista. Il tutto mentre i berlusconiani scendevano in piazza aizzati dal loro Silvio, che dal palco ha attaccato, il che non fa più notizia, magistratura e opposizione, rivendicando, come fa da tempo immemore, che lui rappresenta il partito dell’amore.

Grande confusione, come sempre, sui numeri. Un milione dice il Pdl, 150 mila la questura. Cicchitto attacca la questura che gioca al ribasso, ma il popolo di facebook la attacca al contrario. Afferma che non c’erano più di 100 mila persone in piazza. Ma non importa, specialmente considerando che ha pagato tutto il partito. Addirittura si è parlato di truppe prezzolate, persone pagate proprio per andare a Roma.

Ma non è neanche questo il problema, siamo abituati a un Pdl che paga i propri “militanti” a ogni livello: rappresentanti di lista, chi attacca i manifesti, chi sta nei gazebo a fare campagna elettorale, e così via.

Il problema non è neanche vedere i candidati presidenti, tutti intorno al capo, recitare, come bambini, ad alta voce un giuramento per rispettare un patto per l’Italia e per la libertà. Il premier, autoinvestitosi del ruolo di Messia, ha detto loro: “vi nomino missionari della verità”. E loro, come bravi bambini, contenti di sorridere e leggere. Ma appunto, non è neanche questo il problema, visto che già sappiamo come il cavaliere tratta i suoi dipendenti.

Il problema è capire perché un premier dovrebbe scendere in piazza. Contro cosa dovrebbe manifestare? Contro se stesso? Non sarebbe una cattiva idea, ma non credo fosse questo l’obiettivo. Quando uno come Silvio Berlusconi scende in piazza nel ruolo di primo ministro, manifesta solo contro una cosa. Le regole. E allora non è ridicolo. E’ preoccupante.

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Qua a sinistra trovate una serie di foto che sono legate da un collegamento in apparenza poco chiaro. Con un po’ di pazienza, possiamo però tracciare una linea comune, che spieghi come dalla prima foto si possa arrivare all’ultima.

Come prima immagine abbiamo quella notissima di Berlusconi, impegnato in questi giorni nella sua ultima battaglia contro la magistratura.

In seguito c’è Dell’Utri, uomo di fiducia del premier. La mente che ha partorito Forza Italia, in pratica l’uomo che ha preparato la discesa in campo del Cavaliere.

Come terza foto, c’è quella dei neofascisti di Blocco Studentesco e Casa Pound, i responsabili dei fatti di Piazza Navona dell’anno scorso, e delle aggressioni di questi giorni all’università di Tor Vergata.

A seguire, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Una foto di qualche anno fa, di quando il giovane Alemanno non nascondeva la sua militanza fascista.

C’è poi Renata Polverini, candidata nelle fila del centro-destra nella corsa alle regionali, ritratta mentre si finge ultrà scatenata, nel tentativo di convincere i fascisti della Curva nord laziale a votarla.

Infine, abbiamo l’insegna dell’Università di Tor Vergata. Luogo in cui la parola cultura, con tutto quello che ne consegue, dovrebbe avere un certo peso.

Tentiamo ora di dare un senso a tutte queste immagini giustapposte.

Immaginate una piramide. Berlusconi ne è il vertice. Da cosa è caratterizzata principalmente l’azione del Cavaliere da quando governa l’Italia? Semplice, dalla delegittimazione. Deligittimazione della giustizia, dell’istruzione, delle istituzioni, e così via. In pratica delegittimazione del senso di Stato.

Come si propaga poi questo nel resto della società? Basta vedere il caso di Casa Pound e Blocco Studentesco, movimenti, in parte giovanili, di chiara matrice neo nazifascista, responsabili di episodi di violenza gratuita da due anni a questa parte. In pratica da quando al Comune siede Gianni Alemanno. Il quale, forse, non riesce a dimenticare del tutto il suo passato fascista. Anzi, se capita, finanzia anche qualche iniziativa di Casa Pound. Nonostante tutti sappiano cosa sia Casa Pound. Ma forse non lo sa neanche Marcello Dell’Utri, che diari di Mussolini in mano (peccato che siano falsi, se ne sono accorti tutti tranne Dell’Utri) va da questi giovani bibliotecari, a raccontargli quanto fosse bravo il duce. Ma se guardiamo poi alla Polverini, che va a elemosinare voti fra i fascisti che si fingono tifosi di calcio, cominciamo a capire meglio.

Cominciamo magari a capire che Alemanno e Polverini non è che non sanno chi sono questi loschi figuri. Lo sanno benissimo. E, che gli piacciano o no, sono voti.

Se personaggi simili quindi (mi riferisco agli appartenenti del Blocco o di Casa Pound) intrattengono rapporti con un uomo come Dell’Utri, forniscono la base elettorale del sindaco di Roma e della forse futura presidentessa del Lazio, forse da qualcuno sono legittimati a fare quello che fanno. O magari anche un po’ protetti. Così legittimati o protetti, che se mandano dei ragazzi in ospedale, se impediscono (cosa successa ieri) con altre violenze al rappresentante del Collettivo Lavori in Corso di presentarsi alla riunione del Senato accademico, cosa fa il rettore di Tor Vergata? Tace. Anzi, fa di peggio. Invia una lettera agli studenti, in cui accomuna Blocco Studentesco e Collettivo come due frange estreme coinvolte in risse personali, invitando poi gli studenti a non preoccuparsi di queste cose. E cosa fa il Preside della Facoltà di Lettere, facoltà presso cui da due giorni si svolgono assemblee per parlare dell’accaduto? Sparisce.

Ricolleghiamo quindi il tutto. La deligittimazione, il collasso istituzionale provocato dall’agire di Berlusconi, si ripercuote come un’onda in tutta la società. Un gruppo di picchiatori neofascisti, può circolare libero per Roma, perché le istituzioni di Roma sono collassate di fronte alla Storia. Le violenze di questi picchiatori, sono poi minimizzate dalle istituzioni universitarie. Ed è proprio presso l’Università, luogo di cultura, luogo che dovrebbe formare le personalità di domani non solo facendo collezionare esami ma fornendo un alto esempio di moralità, che il collasso istituzionale è più preoccupante. Perché significa che ormai la frattura è avvenuta, rischiando di trascinare tutto il resto con sé.

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Non sembra più avere una fine il caos sulle liste regionali. A sorpresa, nei giorni scorsi, Tar, e in seguito la Corte d’appello, hanno bocciato il ricorso dei rappresentanti del Pdl, a discapito del decreto salvaliste. Motivo: la legge elettorale regionale è competenza delle regioni, non dello stato. Al momento dunque, non è ammessa la lista del Pdl a Roma e provincia.

Ma il delirio non sembra poter aver termine. Berlusconi infatti ha enormemente alzato i toni dello scontro. In una conferenza stampa odierna ha tracciato una sua linea molto particolare: non solo gli uomini del Pdl non hanno avuto alcuna responsabilità, ma la colpa è da far ricadere tutta sui rappresentanti radicali quel giorno presenti, che hanno impedito fisicamente di consegnare le liste, e sui magistrati che hanno lasciato fuori Milioni e compagnia (per la ricostruzione del premier rimandiamo a: http://tv.repubblica.it/dossier/regionali-liste-pdl/berlusconi-assolve-i-suoi-ci-hanno-bloccato-le-liste/43708?video=&pagefrom=1). Almeno a detta di Berlusconi: il quale non è però ormai credibile (rimandiamo a questo link, sul caso Mangano, per dimostrare come per sua abitudine Berlusconi tenda a deformare leggermente la realtà: http://www.youtube.com/watch?v=gLjOt_g7RZs&feature=fvw).  

La conferenza di oggi ha dunque surriscaldato il clima che lo stesso Berlusconi da un paio di giorni sta magistralmento tenendo incandescente. Invece di ammettere le colpe del proprio partito ha ripreso ad inveire contro magistrati, opposizione, eccetera eccetera, fino al solito ritornello: scendiamo in piazza (manifestazione programmata per il 20 o il 21 marzo) per difendere la democrazia. 

Ora, anche io concordo che la democrazia non è molto stabile, se consideriamo che a capo del governo, da non pochi anni, si trova un signore che è al contempo l’uomo economicamente più potente d’Italia e che ha quasi il monopolio dell’informazione. Un signore che ha negato la prassi parlamentare (oggi è stato messo il record, ponendo per la trentunesima volta la fiducia) e che ha fatto del parlamento, come ebbe a dire Bersani, l’estensione del proprio ufficio legale, considerando che la fiducia di oggi è servita a far passare l’ennesima leggina ad personam: il legittimo impedimento.

Dati tutti questi fattori, è evidente che ormai il solito richiamo di Berlusconi al tentativo di golpe, ha del ridicolo (e possiamo anche bollare come ridicole tutte le ricriminazioni contro l’esclusione della lista del Pdl. Un conto sarebbero state le esclusioni di Formigoni e della Polverini, che effettivamente avrebbe falsato le elezioni, ma l’esclusione di una lista è cosa che è successa e succede a molti altri partiti. Non nega poi la possibilità di votare Polverini, quindi garantisce il diritto di voto. Inoltre, non ammetterla è anche un segnale che minimamente le regole ancora esistono e sono tendenzialmente uguale per tutti: chi sbaglia paga. Anche se si tratta del Pdl). Ma Berlusconi, sicuramente stupido non è. Sa benissimo che non c’è alcun tentativo di golpe in atto. La sua tattica è molto semplice, e ormai comincia pure a essere facilmente leggibile: attaccare, creare confusione, pur non parlare di cose serie. Questa prassi va ormai avanti da quando è tornato al governo: pur di non parlare mai di crisi, è un anno che tutta l’attenzione è focalizzata sui problemi giudiziari di Berlusconi. Adesso, con un partito palesemente in difficoltà, e con candidati che magari non hanno molto di concreto da proporre, il gioco è sempre lo stesso: parliamo di tutto, ma non parliamo dei problemi veri della gente.

Il nostro problema, è che cominciamo però ad essere un po’ stanchi di tutto questo.   

Diego Gavini

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Preoccupanti dati parziali delle elezioni amministrative in Olanda, dove 12 milioni di persone sono stati chiamati a votare per rinnovare 393 consigli comunali. Test importante per le elezioni politiche di giugno, indette dopo la caduta del governo guidato dal cristiano democratico Jan Peter Balkenende.

Preoccupanti i dati perché danno in forte ascesa il Partito della libertà (Pvv) che diventerebbe il terzo partito olandese. Il Pvv, che ha già ottenuto il 16% alle elezioni europee del giugno scorso, è infatti il partito di Geery Wilders,  noto per le sue posizioni xenofobe, antieuropeiste e anti-islamiche.

Brutto segnale quindi che proviene da un Paese spesso invece noto per la tolleranza, per la forza della società civile e per l’estrema apertura mentale in casi anche delicati come l’eutanasia. Proprio perché viene da un simile Stato, questa deriva xenofoba non può non mettere in allarme ed aprire una profonda riflessione  sulle cause che hanno portato a questo fenomeno.

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