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Posts Tagged ‘formigoni’

Per vedere i dati sulla tornata lombarda, scaricate il nostro file: elezioni lombardia.

L’analisi del voto lombardo è per molti aspetti simile a quella veneta. A vincere sono stati ampiamente i due partiti di governo, consentendo a Formigoni di giungere al quarto mandato consecutivo. Rispetto al Veneto la vittoria è solo leggermente meno netta: Formigoni si è imposto 56 punti percentuali sui 32 dello sfidante Penati. Anche in Lombardia si assiste ad una poderosa crescita della Lega anche se a dividerla dal sorpasso sul Pdl vi sono ancora il 5% dei voti. In questa sua cavalcata di questi ultimi anni la Lega ha tolto voti sia al Pdl che al Pd. Il partito di Bersani, dopo il tracollo alle europee, in cui è diventato per la prima volta il terzo partito, con appena il 21% dei voti, si è leggermente ripreso sfiorando il 23%. Risultato che però è evidentemente ancora troppo poco. Nella parte restante della coalizione del centrosinistra, si mantiene sul risultato delle europee anche l’Italia dei Valori, confermando il 6% di preferenze, mentre ancora più a sinistra si può vedere la costante erosione dei voti: nelle regionali di cinque anni fa Rifondazione Comunista prese l’8%, oggi, unendo i voti della Federazione di Sinistra e di Sinistra e Libertà, si supera appena il 3%. La novità è poi il movimento di Grillo: senza raggiungere gli incredibili risultati di Emilia e Piemonte, il movimento 5 stelle ha infatti catalizzato una buona parte del voto di protesta attestandosi sul 3%.

Infine, il discorso ormai noto di un Pd come partito più radicato nelle maggiori città, si ripropone anche a Milano, senza tuttavia i risultati di Venezia, Torino e Roma. A Milano Formigoni ha difatti mantenuto un ottimo margine (50 a 39), ma il Pd ha raccolto il 26% dei voti, classificandosi dunque come secondo partito e lo stesso partito di Di Pietro torna sulle medie nazionali con il 7,5%.

Per una visione più esauriente dei dati elettorali, consigliamo: http://regionali.interno.it/regionali/regio100328/R03.htm.

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Non sembra più avere una fine il caos sulle liste regionali. A sorpresa, nei giorni scorsi, Tar, e in seguito la Corte d’appello, hanno bocciato il ricorso dei rappresentanti del Pdl, a discapito del decreto salvaliste. Motivo: la legge elettorale regionale è competenza delle regioni, non dello stato. Al momento dunque, non è ammessa la lista del Pdl a Roma e provincia.

Ma il delirio non sembra poter aver termine. Berlusconi infatti ha enormemente alzato i toni dello scontro. In una conferenza stampa odierna ha tracciato una sua linea molto particolare: non solo gli uomini del Pdl non hanno avuto alcuna responsabilità, ma la colpa è da far ricadere tutta sui rappresentanti radicali quel giorno presenti, che hanno impedito fisicamente di consegnare le liste, e sui magistrati che hanno lasciato fuori Milioni e compagnia (per la ricostruzione del premier rimandiamo a: http://tv.repubblica.it/dossier/regionali-liste-pdl/berlusconi-assolve-i-suoi-ci-hanno-bloccato-le-liste/43708?video=&pagefrom=1). Almeno a detta di Berlusconi: il quale non è però ormai credibile (rimandiamo a questo link, sul caso Mangano, per dimostrare come per sua abitudine Berlusconi tenda a deformare leggermente la realtà: http://www.youtube.com/watch?v=gLjOt_g7RZs&feature=fvw).  

La conferenza di oggi ha dunque surriscaldato il clima che lo stesso Berlusconi da un paio di giorni sta magistralmento tenendo incandescente. Invece di ammettere le colpe del proprio partito ha ripreso ad inveire contro magistrati, opposizione, eccetera eccetera, fino al solito ritornello: scendiamo in piazza (manifestazione programmata per il 20 o il 21 marzo) per difendere la democrazia. 

Ora, anche io concordo che la democrazia non è molto stabile, se consideriamo che a capo del governo, da non pochi anni, si trova un signore che è al contempo l’uomo economicamente più potente d’Italia e che ha quasi il monopolio dell’informazione. Un signore che ha negato la prassi parlamentare (oggi è stato messo il record, ponendo per la trentunesima volta la fiducia) e che ha fatto del parlamento, come ebbe a dire Bersani, l’estensione del proprio ufficio legale, considerando che la fiducia di oggi è servita a far passare l’ennesima leggina ad personam: il legittimo impedimento.

Dati tutti questi fattori, è evidente che ormai il solito richiamo di Berlusconi al tentativo di golpe, ha del ridicolo (e possiamo anche bollare come ridicole tutte le ricriminazioni contro l’esclusione della lista del Pdl. Un conto sarebbero state le esclusioni di Formigoni e della Polverini, che effettivamente avrebbe falsato le elezioni, ma l’esclusione di una lista è cosa che è successa e succede a molti altri partiti. Non nega poi la possibilità di votare Polverini, quindi garantisce il diritto di voto. Inoltre, non ammetterla è anche un segnale che minimamente le regole ancora esistono e sono tendenzialmente uguale per tutti: chi sbaglia paga. Anche se si tratta del Pdl). Ma Berlusconi, sicuramente stupido non è. Sa benissimo che non c’è alcun tentativo di golpe in atto. La sua tattica è molto semplice, e ormai comincia pure a essere facilmente leggibile: attaccare, creare confusione, pur non parlare di cose serie. Questa prassi va ormai avanti da quando è tornato al governo: pur di non parlare mai di crisi, è un anno che tutta l’attenzione è focalizzata sui problemi giudiziari di Berlusconi. Adesso, con un partito palesemente in difficoltà, e con candidati che magari non hanno molto di concreto da proporre, il gioco è sempre lo stesso: parliamo di tutto, ma non parliamo dei problemi veri della gente.

Il nostro problema, è che cominciamo però ad essere un po’ stanchi di tutto questo.   

Diego Gavini

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Giornata estremamente convulsa quella di ieri, che ha visto tutto il giorno il governo lavorare per l’ormai celeberrimo decreto salvaliste, unica via per salvare la candidatura di Formigoni e la lista del Pdl nel Lazio, senza dover rimandare le elezioni regionali. Il decreto, stilato senza ovviamente il minimo tentativo di trovare una mediazione con l’opposizione, è stato completato in serata. Prima di mezzanotte è arrivata la firma di Napolitano, da due giorni in contatto continuo con Berlusconi.

Oggi, sin dalle prime ore della mattina, si è scatenata la polemica. Mentre il Pdl tentava di arrampicarsi sugli specchi, addirittura contrattaccando, l’opposizione è insorta. La Bonino ha definito il decreto incostituzionale, Casini ha dichiarato che il decreto dimostra che le regole valgono solo per i deboli, il Pd ha annunciato una mobilitazione di piazza a partire da oggi a Milano terminando sabato prossimo a Roma. Bersani ha infatti definito la manovra un vero e proprio trucco.   

Ma torniamo al decreto. Era difficile realizzare qualcosa che cancellasse le regole con tale perfezione, ma il governo c’è riuscito. L’hanno chiamato (vedi l’importanza delle parole) “decreto intepretativo”, realizzato per “aiutare il Tar ad applicare la legge serenamente e in modo corretto” (parole di Maroni). Più propriamente è stato chiamato decreto salvaliste. Noi, non possiamo esimerci dal ribattezzarlo decreto salvachiappe.

Ecco i punti salienti. Il primo è che, per garantire l’elettorato passivo e quello attivo, è più importante la sostanza sulla forma (in pratica le regole sono inutili ostacoli burocratici). Il secondo punto concede di sanare eventuali irregolarità entro le ventiquattro ore successive alla scadenza dei termini di presentazione della documentazione e, soprattutto, che alcune formalità (nel caso di Formigoni una non leggibilità del timbro) non possono costituire un intralcio. Il terzo punto (ed arriviamo qui al salvachiappe del Pdl nel Lazio), che decisamente suscita un misto di pianto e risa, è che non occorre consegnare il materiale entro la scadenza prevista, ma basta trovarsi all’interno dell’edificio in cui tale documentazione va consegnata: decisamente una “interpretazone impeccabile” della legge. Quarto punto, necessario a completare il quadro, è che il conto alla rovescia delle ventiquattro ore di sanatoria, non parte dalla scadenza della presentazione delle liste, ma dalla firma del decreto. Quindi oggi quelli del Pdl hanno 24 ore per affermare che loro, sabato scorso, dentro l’edificio c’erano. Magari hanno dovuto mangiare qualche panino di troppo, ma c’erano. Magari hanno dovuto farsi i giochetti alle loro spalle, cambiando i nomi della lista all’ultimo momento, ma c’erano. E magari, avrebbero dovuto avere il buon senso di dire a tutti: “scusate, abbiamo avuto qualche problemino interno, niente di che, cercavamo solo di farci le scarpe fra di noi e ci siamo dimenticati di consegnare le liste. Non è che, per favore, c’è qualche maniera per rimediare? Giuriamo che non lo facciamo più”. Ma su questo punto, non c’erano. 

Per concludere occorre fare un accenno alla maniera in cui è stato tirato in ballo Napolitano, reo, secondo alcuni, di aver firmato il decreto. Il “popolo viola” si è ritrovato davanti al Quirinale per chiedere il perché della firma, e Di Pietro, forse esaltato dall’onda della protesta, è uscito decisamente fuori dal seminato. Già pare aver dimenticato la svolta annunciata al congresso, e ha chiesto di valutare l’impeachment per il Presidente. Dichiarazione che mi lascia decisamente perplesso sul comportamento del leader dell’Italia dei Valori, il quale non si rende conto che così facendo sgretola quella possibilità d’alternativa che Pd e Idv dovrebbero rappresentare insieme. Personalmente anche io avrei voluto che Napolitano non avesse firmato, ma mi pare che non avesse molte vie d’uscita.

Sicuramente ancor più inglorioso di quello di Di Pietro, è l’atteggiamento della maggioranza. Sempre dura con Napolitano, spesso in maniera decisamente inaccettabile (inutile ricordare l’attacco diretto e assolutamente fuori dalle righe che Berlusconi si è permesso dopo la bocciatura del Lodo Alfano), dura fino a ieri quando dalle pagine de Il Giornale lo definiva Ponzio Napolitano, oggi si è espressa in una gara di devozione nei confronti del Presidente della Repubblica. Da Schifani a Capezzone, tutti a dire quanto l’opposizione debba rispettare l’operato di Napolitano.

Certo che un po’ di fosforo a questa maggioranza non farebbe male. Ed anche un pizzico di capacità di vergognarsi.

Diego Gavini

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Lista per la Polverini forse. Lista per Formigoni e per il Pdl nella provincia di Roma, no. Questo è il verdetto oggi emesso dalle corti d’appello. Entrambi gli esponenti hanno già annunciato il ricorso al Tar, il quale si esprimerà entro la prossima settimana.

Certo è che se la situazione rimanesse quella di oggi, sarebbe un duro colpo per il Pdl in vista delle regionali. Nel Lazio, anche se la decisione arriverà solo oggi, sembra salva la candidatura della Polverini, ma l’esclusione della lista del Pdl si potrebbe tradurre in una forte dispersione del voto nel centro-destra. Ancora più critica la situazione lombarda, dove rischia fortemente di non poter correre per il rinnovo del mandato il ciellino Formigoni.

Mentre la Polverini annuncia che ricorrerà alla piazza per salvaguardare il diritto del voto, Bossi dà dei dilettanti agli alleati. Intanto il Pdl fa quadrato intorno ai suoi due candidati. Il ministro La Russa arriva a dire: “se non ci ammettono siamo pronti a tutto” (il che detto da un ex(?) fascista è anche preoccupante).

Sicuramente se i dirigenti del Pdl fanno quadrato di fronte ai media, la realtà che si respira è un po’ diversa. Difficile immaginare ad esempio che Milioni non abbia consegnato in tempo le liste perché allontanatosi per mangiare un panino. Molto più palpabile è uno scontro in atto fra l’area berlusconiana e quella finiana. Aria che si avverte sia parlando con gli elettori di centro-destra, sia andando a vedere i loro blog. Più onesti dei loro dirigenti, sanno che il pasticcio è tutto interno al loro partito.

L’unico commento che è possibile fare su questa vicenda è infatti esclusivamente politico. Forza Italia è sempre stato un partito-non partito. In pratica una lista di nomi, dove tutte le decisioni erano prese da Berlusconi. Non vi erano controversie, perché Berlusconi riusciva a fare gli interessi un po’ di tutti. Il Cavaliere ha tentato di tradurre questo schema anche nel Pdl. Ma il gioco gli è riuscito solo in parte. Non tutti nel nuovo partito hanno accettato di sottomettersi a questa logica. Nel caso-Lazio, con una candidata scelta direttamente da Fini, questo malumore è esploso del tutto. L’ipotesi che infatti ormai risulta più palese è che il ritardo sia stato dovuto a un ordine dell’ultimo momento di Berlusconi per cambiare i nomi della lista escludendo gli ex-An.

Ora vedremo se questo scontro tutto interno al partito di maggioranza è destinato ad accentuarsi, o se il potere quasi illimitato di Berlusconi riuscirà a ricondurre nell’ovile gli animi più ribelli.

Sul caso poi specifico delle liste elettorali, sta impazzando in questo momento ogni genere di parodia sul web. Vi rimandiamo all’irresistibile rifacimento di We Are The World, http://espresso.repubblica.it/dettaglio/save-polverini-il-video/2122089, e non possiamo non chiudere con questa foto:

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