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Posts Tagged ‘Udc’

C’è chi fa politica perché crede che sia il modo migliore per favorire il bene comune e chi la fa perché vi vede il modo migliore per avere un tornaconto personale; poi c’è chi la fa e si vede lontano un miglio che sarebbe meglio se cambiasse mestiere, mentre altri la fanno solo per stravaganti manie di grandezza. Quel che è certo è che in molte facce si legge facilmente il motivo per cui sono in politica: in alcune c’è perfidia, in altre un’infinita stupidità, in altre ancora un’esorbitante arroganza. Ma soprattutto in troppe facce si vede come anni di eccessivo contatto col potere riescano a cambiare i lineamenti del viso, ad incattivire gli occhi, a ingrassare le guance per l’eccessivo benessere.

Questa classifica dei peggiori volti della politica non è una graduatoria estetica, non vuole giudicare i belli e i brutti che stanno al potere. E’ una classifica sui politici che al solo guardarli in faccia riescono a suscitare i peggiori sentimenti di riprovazione. Prima di iniziare questa nostra personale graduatoria  avvertiamo che abbiamo raggruppato questi personaggi in gruppi perché spesso far parte dello stesso ambiente muta darwinianamente i lineamenti di esemplari simili tra di loro…

16°) I “difensori” dei diritti civili: Paola Concia e Cristiana Licata (PD)

Senza dubbio le due più combattenti nel Pd sui diritti civili. A tematiche condivisibili corrispondono metodi che però non lo sono affatto. Ma soprattutto, la loro battaglia sui diritti civili è così ampia che si sono elevate anche a tutelatrici delle manifestazioni neofasciste…quando si dice perdere la bussola.

15°) Le donne ministro: Maria Stella Gelmini, Michela Brambilla, Mara Carfagna (Pdl)

 

 

 

 

 

Eccole le donne preferite da Berlusconi. Giovani e belle, quindi in linea con i requisiti minimi per diventare ministro. La Gelmini è passata dall’essere sfiduciata nel consiglio comunale di Desenzano del Garda per inoperosità a volerci spiegare come funziona l’istruzione: se lasciasse il posto alla sorella, che almeno è insegnante, sicuramente farebbe meno danni. La Brambilla fino al 2006 non era nessuno; poi si è inventata i Circoli della Libertà e ha battuto qualunque altra donna in quanto a capacità di venerare l’imperatore, da cui la giusta ricompensa di ministro del turismo. Infine la Carfagna: a questo punto ci potrebbero essere obiezioni, per il fatto che si tratta oggettivamente di una bella donna e che dal suo volto non si notano i danni della politica (tranne che dagli occhi un po’ spiritati). Ma il solo pensiero che sia passata direttamente dai calendari alla poltrona di ministro è uno degli schiaffi più duri a chi pensa ancora che la politica possa essere una cosa seria.

14°) I vecchi radicali: Emma Bonino e Marco Pannella

Da decenni insieme, i due storici leader dei Radicali sono due classici esempi di volti incartapecoriti a forza di dire sempre le stesse cose e di dirle con lo stesso inutile atteggiamento di sentirsi più puri degli altri.

13°) I popolari doc del Pd: Lucio d’Ubaldo e Giuseppe Fioroni

Dal Partito Popolare provengono politici di tutto rispetto come Rosy Bindi e Enrico Letta, per fare solo due esempi. Ma poi anche personaggi come D’Ubaldo e Fioroni. Il primo sarebbe da bocciare solo per essere il perfetto sosia di Craxi, il secondo per quella sua rotondità che in un politico spesso significa pensare prima a mangiare e poi a darsi da fare per gli altri. Ma soprattutto negli occhi di tutti e due c’è quel luccichio dei peggiori democristiani, quelli che, quando vedevano un tavolo, la prima cosa a cui pensavano era come spartirsi le poltrone.

12°) Quelli che si dimettono ma poi restano: Guido Bertolaso e Raffaele Fitto

Del primo si potrebbe pensare che non è un politico, ma bisogna ricordarsi che si tratta di un sottosegretario alla presidenza del consiglio. Il secondo, dalla faccia in apparenza di bravo ragazzo, è ministro agli affari regionali e uomo di riferimento per il Pdl pugliese. Insieme sono coinvolti in così tanti processi da fare invidia a criminali di più alto rango. Ma soprattutto condividono il fatto che, entrambi, quando sono stati un po’ travolti dalle bufere hanno presentato le loro dimissioni: ma entrambi se le sono viste respinte. E ora continuano a sedere allegramente nelle loro poltrone con quella serenità in volto di chi se l’è vista brutta ma che ora può continuare a gustarsi in pace un po’ di potere.

11°) I difensori della civiltà cristiana: Lorenzo Cesa, Paola Binetti, Carlo Giovanardi, Dorina Bianchi e Francesco Rutelli

  

                            

E’ un gruppo estremamente eterogeneo ma accomunato da un paio di caratteristiche. La prima è la loro carriera politica riassumibile nel motto: andiamo dove tira il vento. Tranne Cesa infatti, costante nelle fila dell’Udc, tanto da esserne segretario, abbiamo interessanti itinerari politici. Paola Binetti, proveniente dalla Margherita è oggi nell’Udc dopo essersi resa conto che il Pd è anche un po’ un partito di sinistra con qualche valore laico. Giovanardi ha attraversato tutta l’esperienza centrista per poi fare il salto nelle braccia di Berlusconi. Dorina Bianchi ha compiuto attraversamenti spettacolari nell’arco parlamentare: Pdl, Pd e ora Udc. Il bel Rutelli è invece un maestro in questo genere: Radicali-Verdi-Margherita-Pd-Api. La seconda caratteristica comune è poi il loro spirito di crociata a favore della cattolicità: prima la Chiesa e poi lo Stato. Una tale intransigenza che gli permette di muoversi fra un partito e l’altro senza problemi. Se li guardiamo in volto possiamo leggere la loro tristezza di non essere nati nel medioevo, fra crociate e caccia alle streghe: ora stanno tentando di rimediare con qualche secolo di ritardo.

10°) I lumbard: Roberto Formigoni e Letizia Brichetto Arnalboldi in Moratti (Pdl)

 

 

 

Rispettivamente governatore della Lombardia e sindaco di Milano. Formigoni, esponente di Comunione e Liberazione, appare molto più a suo agio con giacca di pelle e barba volutamente incolta che con liste elettorali e quant’altro, è a metà fra la tipica spocchia milanese e il classico play-boy di provincia che non vuole invecchiare. Letizia Moratti dovrebbe rientrare in questa classifica solo per il nome originale, ma ha guadaganto il suo posto d’onore passando a far danni dalla pubblica istruzione al comune di Milano mantenendo però sempre la stessa espressione di impassibile stupidità.

9°) I fascisti: Ignazio La Russa e Gianni Alemanno (Pdl)

Il ministro della difesa La Russa e il sindaco di Roma Alemanno sono due ex missini passati velocemente al soldo di Berlusconi. Anche se tentano di fare i simpatici in televisione è possibile notare come solo con difficoltà trattengano il tendersi del braccio destro. Mussolini sicuramente li avrebbe promossi sul campo suoi fedeli gerarchi. A questo importante curriculum occorre aggiungere anche i tratti satanici di Ignazio e il progressivo irrigidimento di quelli di Gianni.

8°) Quelli  che dove stanno stanno hanno sempre la stessa faccia: Sandro Bondi, Italo Bocchino e Clemente Mastella

  

  

  

Eccoci di nuovo di fronte a un gruppo eterogeneo che in apparenza non ha nulla in comune: Bondi e Bocchino sono nel Pdl, ma uno è un fedele berlusconiano e l’altro un finiano doc, mentre Mastella è il leader dell’Udeur. Ma a ben vedere hanno un tratto che in assoluto li accomuna: la capacità di avere sempre la stessa faccia a prescindere da quello che dicono. Bondi, al cui solo pensiero di toccargli la pelle c’è da sentirsi male, è un ex comunista che ora sembra passare la vita a scrivere poesie per il suo amore, Berlusconi. Bocchino ha sempre la faccia più arrogante di tutto il parlamento, sia quando difendeva a spada tratta Berlusconi sia ora che si eleva a suo grande critico. Mastella, da buon democristiano, riesce a passare da un fronte politico all’altro con la stessa tranquillità di chi passa dal bagno alla camera: a ogni passaggio però il volto si ingrassa a forza di “mangiare”.

7°) I ministri socialisti: Renato Brunetta, Maurizio Sacconi e Giulio Tremonti (Pdl)

 

Queste tre figure sono fra le più importanti all’interno dell’attuale governo. Tutti e tre provengono dal Partito socialista. L’apparente contraddizione di come sia possibile che  un socialista stia con Berlusconi è facilmente spiegabile visto quello che era diventato il partito socialista con Craxi: un modo per prendersi pezzi di stato. Quindi niente di strano nel passaggio da Craxi a Berlusconi. Tutti e tre sono poi soggetti assolutamente originali. Brunetta, il ministro-poket che si crede Napoleone, l’iracondo, colui che riesce a contenere in un mini-corpo l’ego più vasto del mondo, il fannullone che attacca i fannulloni (chiedere a Tor Vergata dove Brunetta sarebbe professore, ma nessuno lo vede da anni). Poi c’è Sacconi l’uomo che con tutta la calma del mondo parla dell’abuso di Pomigliano d’Arco come di una riforma del lavoro e poi corre a venerare la tomba di Craxi. Infine Giulio Tremonti, il padrone dell’economia, colui che si autoelogia il salvatore del bilancio italiano e intanto vara lo scudo fiscale oppure una manovra che toglie ai ceti medio-bassi e fa ridere i ricchi.

6°) I siciliani: Raffaele Lombardo, Renato Schifani e Totò Cuffaro

  

  

Il primo è il leader dell’Mpa e governatore della Sicilia, il secondo uomo vicinissimo a Berlusconi e presidente del Senato (peraltro con percentuali di presenza bassissime), il terzo ex governatore siciliano e oggi senatore (peraltro dopo la condanna in appello per favoreggiamento a Cosa nostra si è dimesso da ogni incarico dall’Udc pur rimanendo al Senato, nonostante l’interdizione dai pubblici uffici). Parole per descriverli non sono molto necessarie. Limitiamoci alla forza delle immagini e guardiamoli bene. Poi possiamo anche domandarci che una bellissima terra come la Sicilia sia in grado di produrre tutto ciò.

5°) I capigruppo: Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri (Pdl)

  

  

  

Il primo è capogruppo del Pdl alla Camera, il secondo al Senato. Uno viene dal Partito Socialista, l’altro da An, ma ora sono due intimi di Berlusconi. Ricoprire due ruoli tra loro simili li sta facendo assomigliare sempre di più. Per averne una controprova basta avere il coraggio di accendere la tv e guardare il Tg1: li troverete sempre lì, arroganti come non mai a dire sempre le stesse cose come due macchinette.

4°) I portavoce: Paolo Bonaiuti e Daniele Capezzone (Pdl)

  

  

 

 

Bonaiuti è il portavoce di Berlusconi, Capezzone quello del Pdl. Il discorso fatto per Cicchitto e Gasparri vale in gran parte anche in questo caso: la differenza è la sottile capacità di risultare ancora più irritanti dei due sopraccitati, il che equivale a una vera impresa. Ancora più fenomenale Capezzone che, dopo essere stato il delfino di Pannella ha fatto un rivoltone politico degno di nota, passando dalla Rosa nel Pugno per poi approdare nel Pdl. Probabilmente è proprio per farsi perdonare le sue origini che tenta in ogni maniera di dimostrarsi il pidiellino più accanito.

3°) I difensori della legge: Angelino Alfano e Niccolò Ghedini (Pdl)

I due uomini più cari a Berlusconi: il primo è quello che ha il compito di reinventare la legge per evitare al capo tutti i suoi guai legali; il secondo (in tutto e per tutto uguale a Lurch, il maggiordomo della famiglia Addams) è il suo avvocato, mestiere che continua a svolgere dai banchi del parlamento, e il padre della famigerata espressione: “l’utilizzatore finale”. Assolutamente tra le figure più inquietanti del panorama politico nostrano, con il loro sguardo torvo che sembra uscito direttamente da un film dell’horror. Se solo riuscite ad immaginare di andare a cena con due facce simili avete uno stomaco di ferro.

2°) I leghisti: Umberto Bossi, Roberto Cota, Roberto Calderoli, Mario Borghezio e Renzo Bossi

La Lega Nord ricopre sicuramente un ruolo di primo piano nell’arco parlamentare: non riesce ad annoverare fra i suoi esponenti un solo personaggio decentemente discreto o che riesca ad apparire almeno per un attimo simpatico. Quasi come se l’antipatia congenita sia fra i requisiti minimi per accedere nel partito. Ma i quattro personaggi presi in considerazione sono senza dubbio il non plus ultra del peggio che il partito padano riesce ad esprimere. Il posto d’onore tocca a Bossi, l’iracondo secessionista fondatore della Lega, il capo-barbaro. Calderoli è invece colui che, come ha ipotizzato Benigni, “ciò che noi umani non risuciamo neanche ad immaginare”. Giovane ma promettente il governatore Cota, che all’irritazione naturale che suscita il suo sguardo riesce ad unire la voce più fastidiosa nell’intero arco politico. Poi l’esaltato Borghezio, colui che, prima di definire gli immigrati “bastardi islamici da prendere a calci in culo”, sembra aver fatto il bagno in mezzo a una frittura. Come non chiudere però con Bossi jr., la “trota”: se le premesse per il futuro sono queste stiamo a posto.

1°) Il cavaliere e i suoi scudieri: Silvio Berlusconi, Marcello dell’Utri e Gianni Letta (Pdl)

Eccoci arrivati alla triade d’eccellenza. Su Berlusconi bisognerebbe scrivere libri e libri per essere esaurienti, ma basta dire come nel suo volto sono condensati tutti i mali della politica italiana. Allo stesso tempo non bisogna però dimenticare le due menti politiche alle sue spalle: Marcello dell’Utri, ideatore di Forza Italia, colui che, come egli stesso ha dichiarato, si è fatto eleggere per cercare di non avere guai con la giustizia e Gianni Letta, colui che dietro le quinte risolve tutti i problemi di Berlusconi, specialmente presso la Santa Sede. Una triade agghiacciante.

Diego Gavini

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Per vedere i dati della tornata elettorale calabrese, cliccate: elezioni calabria

Come si era previsto, in Calabria ha prevalso facilmente il candidato del centrodestra Scopelliti, che ha battuto il presidente uscente, Loiero, con un netto 57% a 32%. Sicuramente la Calabria, fra le regioni governate precedentemente dal centrosinistra, ha rappresentato le massime difficoltà. La coalizione si è divisa, tanto che l’Italia dei Valori, assieme ai Radicali, ha presentato un proprio candidato, il quale ha raccolto il 10% dei consensi.

Un’amministrazione che in cinque anni è stata non all’altezza, una divisione nel campo del centrosinistra, hanno prodotto una vera disfatta, cominciando dal Pd, che ha raccolto un misero 15,8%, passando dall’Idv, Sel e Rifondazione, rispettivamente in calo in un anno di 3,7 punti, 2, e 2,7.

Tale erosione ha così favorito un Pdl che, nonostante tutto è apparso in forte difficoltà. Se l’Udc, in questa regione alleata col partito di Berlusconi, ha confermato un ottimo andamento, il Pdl ha perso dalle europee dell’anno scorso l’8%. 

L’altissimo astensionismo (l’affluenza non ha raggiunto il 60%) e il passaggio di molti voti del Pd e del Pdl alle liste civiche dei due candidati presidente, hanno segnato, al pari della Puglia, una forte difficoltà dei grandi partiti di recepire il sentire delle persone. 

Per una più precisa visione del risultato elettorale, potete consultare: http://www.repubblica.it/static/speciale/2010/elezioni/regionali/calabria.html#risultati

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Per leggere i dati relativi all’esito delle urne in Puglia: elezioni puglia

Le elezioni pugliesi sono state fra le più poste sotto i riflettori. A creare quest’attenzione diversi motivi. Il primo, era evidentemente Vendola, personaggio assolutamente emergente nel panorama del centrosinistra, in grado di porsi contro l’establishment del Pd e batterlo con il ricorso alle primarie. Caso che ha creato molto scompiglio nel mondo della sinistra, ma che poi è riuscito a rientrare. Il secondo motivo erano gli avversari di Vendola. L’Udc, non avendo trovato l’accordo col Pd, ha deciso di correre da sola, proponendo un personaggio anche forte come la Poli Bortone, ex sindaco di Lecce. Berlusconi ha tentato di riavvicinarsi al partito di Casini, ma Fitto, ex governatore pugliese, si è messo completamente in gioco con un suo candidato, Palese, assicurando il premier che ce l’avrebbe fatta da solo.

Non è andata così, anche se di poco. Vendola ha battuto con un certo margine Palese, 6,5 punti percentuali, ma l’8,7% della Poli Bortone rende lecito chiedersi cosa sarebbe successo se Fitto non si fosse messo in mezzo. La storia però non si fa con i sé, e soprattutto in politica è difficile dire che 1+1 fa 2. Vendola ha così confermato la sua presidenza, riportando alla vittoria un centrosinistra che dopo le elezioni politiche era in grande difficoltà in Puglia. Basti notare che alle europee, unendo i voti di Pd, Idv, Sinistra e Libertà e Rifondazione, non si arrivava a quelli del Pdl. Senza contare poi l’Udc sopra il 9%.

A pagare questa campagna elettorale contorta, sono stati principalmente i partiti. Il Pd ha perso un altro punto percentuale, l’Idv il 2,5%, l’Udc il 2,6%, fino al tracollo di 12 punti del Pdl. Una grossa fetta dunque dell’elettorato che si è riversato in parte, ovviamente, su Sinistra e Libertà, dall’altro sulle liste civiche dei due presidenti.

Se a ciò si aggiunge la bassa affluenza alle urne, si deduce facilmente che sono i partiti i principali sconfitti di questa tornata pugliese, anche se fra questi è il Pdl a pagare il prezzo nettamente maggiore.

Per consultare tutti i dati sull’elezione  pugliese:  http://www.repubblica.it/static/speciale/2010/elezioni/regionali/puglia.html#risultati

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Per visualizzare i dati della tornata campana: elezioni campania

Sconfitta annunciata quella in Campania per il centrosinistra, dopo 10 anni di gestione di Bassolino. Ciò nonostante, difficile da digerire, visto lo scarto dell’11% fra Caldoro e De Luca.

La scelta tanto travagliata di De Luca (che ha portato Rifondazione a candidare Paolo Ferrero in maniera autonoma), nemico acerrimo di Bassolino e  personalità molto forte e spesso in controtendenza, ha in parte pagato. Nella lettura dei dati si può infatti notare un 4% di voto disgiunto a favore di De Luca. I primi a pagare sono stati dunque proprio i partiti della coalizione di centrosinistra. Il Pd non è riuscito a risorgere dopo il tracollo delle elezioni europee, anzi è continuato a calare, anche se al contempo occorre tener conto che i voti persi sono principalmente quelli dell’Api di Rutelli. L’Italia dei Valori ha perso 2,5 punti percentuali rispetto all’anno scorso, Sinistra e Libertà l’1%, Rifondazione il 2,3%. Occorre quindi un ripensamento generale della politica del centrosinistra in Campania.

La situazione nel centrodestra è ovviamente diversa, ma non è tanto il Pdl ad avvantaggiarsene. Dopo lo scarso 22% di cinque anni fa (ovviamente diviso fra Forza Italia e Alleanza Nazionale), aveva visto un aumento colossale alle politiche del 2008 col 48%, voto poi sostanzialmente confermato dal 43,5% delle europee. In questa tornata invece il Pdl, in linea con la tendenza nazionale, cala di più di 10 punti percentuali. A raccogliere questi voti, l’Udc, tradizionalmente forte in Campania, ma ora in crescita, e tutti quei partiti di chiara ispirazione democristiana, come l’Udeur, l’Alleanza di Centro, la nuova Democrazia Cristiana, piccoli partiti di notabili che recuperano una tradizione sicuramente poco gradevole di penetrazione nei piccoli centri, e che portano alla rielettura di personaggi come la tristemente celebre lady Mastella.

Per visualizzare tutti i particolari sui risultati elettorali, rinviamo al sito: http://regionali.interno.it/regionali/regio100328/R15.htm

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Per studiare l’esito delle votazioni nelle Marche, aprite: elezioni marche

Alla vigilia delle elezioni, si prevedeva una facile vittoria del centrosinistra nelle Marche, e così è stato. Il presidente uscente Spacca è stato confermato col 53% dei voti, contro il 39,7% di Marinelli. In questa regione peraltro il centrosinistra non si è presentato unito: il Pd e l’Idv si sono alleati con l’Udc, mentre la Federazione della Sinistra e Sinistra e Libertà hanno presentato un loro candidato Rossi, che ha raccolto il 7,1%.

Nonostante questo divario annunciato fra centrosinistra e centrodestra, vi potevano essere dei dubbi sulla tenuta dei partiti di sinistra. Dopo facili affermazioni alle regionali del 2005 e alle politiche del 2008, il Pd è stato infatti superato alle europee dell’anno scorso di 4 punti percentuali dal Pdl, mentre la Lega era salita al 5%. Se il partito di Bossi ha confermato questa ascesa, il Pd può dire di aver effettivamente avviato un’inversione di tendenza, essendo tornato a superare il 30%, pareggiando i conti col Pdl, nonostante un’ottima tenuta dell’Idv al 9%. Partito che aveva probabilmente raddoppiato l’anno scorso i suoi voti, proprio sottraendoli al Pd.

Per la destra (esclusa come al solito la Lega) le elezioni nelle Marche segnano dunque una battuta d’arresto, anzi un arretramento. Molto meglio il Pd che ha registrato, come in diverse altre regioni, un aumento del consenso. Partito Democratico che deve però migliorare la propria politica delle alleanze, non essendo riuscito a creare in questa regione quell’unità dall’Udc alla sinistra radicale.

Per un maggior approfondimento dei dati sui risultati marchigiani: http://www.repubblica.it/static/speciale/2010/elezioni/regionali/marche.html#risultati

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Per leggere i dati dell’elezione ligure, scaricate: elezioni liguria.

Regione considerata inizialmente in bilico, la Liguria ha visto la vittoria del candidato del centrosinistra Burlandi, che si è imposto sull’avversario Biasotti di poco più di 4 punti percentuali. In Liguria, l’alleanza allargata del centrosinistra, da Rifondazione Comunista all’Udc, ha portato i suoi frutti, anche se il partito di Casini ha perso un punto percentuale rispetto alle europee.

A livello dei partiti, si conferma tendenzialmente il trand nazionale. Il Pd sostanzialmente conferma i dati delle europee, mentre il Pdl è in calo, ed ora solo lo 0.9% dei voti divide i due schieramenti. Parte dei voti del Pdl si è spostata verso la Lega, che conferma l’aumento generale che la vede protagonista in tutte le regioni centro-settentrionali. In Liguria si confermano poi altri dati in media col resto della nazione come l’alto astensionismo (affluenza alle urne dell’appena 60,9%), la tenuta dell’Idv dopo il salto delle europee, e il costante 6% di voti che mettono insieme i diversi partiti della sinistra extraparlamentare, media che è però più alta rispetto alle altre regioni settentrionali, data una certa tradizione “rossa” che permane in Liguria.

Per maggiori approfondimenti sulle statistiche del voto: http://regionali.interno.it/regionali/regio100328/R07.htm

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Per visualizzare i dati inerenti alle elezioni in Piemonte, abbiamo preparato il file: elezioni piemonte

Il Piemonte è stata insieme al Lazio, la regione decisiva in cui si è giocata questa tornata. La vittoria del centrodestra in entrambe le regioni ha fatto pendere l’ago della bilancia a favore della coalizione guidata da Berlusconi.

Rispetto al Lazio, l’elezione piemontese presenta molti aspetti simili, ma anche delle diversità.

Il primo aspetto molto vicino al risultato laziale, è uno scarto molto risibile, in questo caso di neanche 10000 voti, aspetto per il quale è molto difficile parlare di grande vittoria di Cota. Scarto che denuncia in maniera ancora più forte un elettorato molto diviso. Il secondo fattore è l’enorme differenza fra la provincia di Torino, dove la Bresso ha raccolto 110000 voti in più rispetto al rivale, e le altre otto province, tutte conquistate da Cota.

Altri elementi chiave sono invece divergenti rispetto al Lazio. Il primo è ovviamente la presenza della Lega Nord, anche qui in forte ascesa, tanto da raddoppiare l’8% di cinque anni fa. Il secondo è che la disaffezione per la politica non si è tradotta soltanto nell’astensionismo, ma anche nell’adesione al movimento 5 stelle di Grillo, il quale ha raccolto quei 90000 voti che sarebbero stati molto utili alla Bresso. Ultimo fattore è il calo del Pdl, sceso al 25%, dopo che nelle precedenti tornate aveva sempre agevolmente superato il 30%. Calo che sicuramente accentua la silenziosa rivalità interna con la Lega.

Per quanto riguarda il Pd, bisogna notare da un lato l’aspetto positivo per cui il Piemonte è l’unica grande regione del Nord in cui è diviso dal primo partito solo da pochi punti percentuali. Ma dall’altro il partito guidato da Bersani deve riflettere su un evidente calo di consensi che lo vede protagonista in negativo a partire dalle europee dell’anno scorso, erosione che ha prodotto inoltre la perdita di un altro punto percentuali rispetto al 2009.

Ultimo elemento da considerare è che questa è l’unica regione in cui l’apporto dell’Udc al centrosinistra non è risultato decisivo. Probabilmente è stato però lo stesso elettorato dell’Udc a non premiare questa scelta, visto che il partito di Casini ha perso in un anno due punti percentuali. Indice ulteriore di un’alleanza molto difficile fra il Pd, l’Idv e l’Udc, ma che al contempo appare sempre di più come unica strada percorribile per il centrosinistra.

Per maggiori approfondimenti sui risultati piemontesi:  http://regionali.interno.it/regionali/regio100328/R01.htm

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Regionali

Ecco i dati definitivi della tornata elettorale, che vedono 7 regioni assegnate al centrosinistra e 6 al centrodestra, segnando dunque il passaggio di Calabria, Campania, Lazio, Piemonte alla coalizione guidata da Berlusconi (per vedere i risultati in maggior dettaglio, rimandiamo agli articoli in cui, a partire da domani, analizzeremo il voto regione per regione):

Veneto

Zaia (centrodestra) 60,15% – Bortolussi (centrosinistra) 29,0

Lombardia

Formigoni (centrodestra) 56,10% – Penati (centrosinistra) 33,27%

Piemonte

Cota (centrodestra) 47,32% – Bresso (centrosinistra) 46,90%

Liguria

Burlando (centrosinistra e Udc) 52,14% – Biasotti (centrodestra) 47,85

Emilia-Romagna

Errani (centrosinistra) 52,06% – Bernini (centrodestra) 36,72%

Marche

Spacca (centrosinistra e Udc) 53,17% – Marinelli (centrodestra) 39,72%

Toscana

Rossi (centrosinistra) 59,73% – Faenzi (centrodestra) 34,44%

Lazio

Polverini (centrodestra e Udc) 51,14%  – Bonino (centrosinistra) 48,32%

Umbria

Marini (centrosinistra) 57,24% – Modena (centrodestra) 37,70%

Campania

Caldoro (centrodestra e Udc) 54,25% – De Luca (centrosinistra) 43,04%

Calabria

Scoppeliti (centrodestra e Udc) 57,70% – Loiero (centrosinistra) 32,20%

Basilicata

De Filippo (centrosinistra e Udc) 60,81% – Pagliuca (centrodestra) 27,92%

Puglia

Vendola (centrosinistra) 48,69% – Palese (centrodestra) 42,25%

 

Le percentuali a livello nazionale dei singoli partiti sono:

Pdl  26,78%

Pd   26,10%

Lega Nord   12,28%

Idv  7,27%

Udc  5,57%

Sel   3,03%

Sinistra  2,74%

Movimento a 5 stelle  1,77%

La destra  0,71%

Verdi  0,67%

Api  0,58%

Radicali  0,56%

Le liste civiche dei presidenti di centrosinistra hanno raccolto il 3,84%, quelle del centrodestra il 7,81%.

L’affluenza alle urne è stata appena del 64,19%, in forte calo rispetto al 72,01% di cinque anni fa.

Comunali e provinciali

Oggi sono stati scrutinati anche i voti delle provincee e dei comuni in cui si è votato.

Tutte e quattro le province in cui gli elettori sono stati chiamati a votare sono state conquistate dal centrodestra. Ad Imperia Sappa si è imposto su Giordano per 59 punti percentuali a 32. A L’Aquila Del Corvo ha battuto la sfidante Pezzopane 53,4% a 45,3%. A Viterbo Meroi ha raccolto il 54,7% dei voti, contro il il 32,1% di Grattarola. Infine a Caserta Zinzi ha vinto su Stellato 64,4% a 30,6%.

Per quanto riguarda le comunali si è votato per 462  amministrazioni, fra cui 9 capoluoghi. Tra questi spicca il voto di Venezia dove il candidato del centrosinistra, Orsato, ha battuto il ministro Brunetta 51,1% a 42,6% (il ministro ha peraltro attaccato la Lega, accusandola di non averlo sostenuto a sufficienza). Negli altri 8 capoluoghi si andrà al ballottaggio a Mantova, Macerata, Vibo Valentia e Matera, mentre il centrodestra ha già vinto a Chieti ed Andria e il centrosinistra a Lodi e Lecco (dove inoltre è stato battuto il leghista Castelli).

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Domenica 28 marzo e lunedì 29, 40 milioni di italiani sono chiamati al voto. Le urne rimaranno aperte la domenica dalle ore 8.00 alle 22.00, il lunedì dalle 7.00 alle 15.00. Il voto principale riguarda le tredici regioni che dovranno rinnovare la loro giunta: Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Umbria, Lazio, Toscana, Marche, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Lombardia e Veneto. Si voterà anche in quattro Provincie, Imperia, Viterbo, L’Aquila e Caserta, oltre che in 463 comuni, fra cui Macerata, Mantova e Venezia.

Lo scrutinio per le elezioni regionali si avrà lo stesso lunedì pomeriggio, mentre quello per le elezioni provinciali e comunali avverrà il martedì.

Per quanto riguarda le elezioni regionali, in special modo per il Lazio, ricordiamo che la tornata è unica, non vi è il ballottaggio; si vota sulla scheda di colore verde. Le possibilità per esprimere le proprie preferenze sono:

-si può votare esclusivamente il candidato presidente mettendo una croce sul suo nome

-si può votare una lista senza porre la croce sul candidato, a cui comunque andrà automaticamente la preferenza

-si può effettuare un voto disgiunto, votando un candidato presidente ed una lista collegata ad un altro candidato

-si può infine esprimere una sola preferenza per un candidato consigliere, mettendo una croce sulla lista provinciale e scrivendo accanto il cognome che si intende indicare

I candidati governatori nel Lazio sono:

Emma Bonino sostenuta  da: Pd, Idv, Lista Bonino-Pannella, Sel, Sinistra

Renata Polverini sostenuta da: Pdl, Udc, La destra

Roberto Fiore candidato di Forza Nuova

Marzia Marzoli candidata della Rete dei Cittadini

Nelle altre regioni, gli scontri principali sono:

-Calabria: Loiero (Pd), Scopelliti (Pdl e Udc), Callipo (Idv)

-Basilicata: De Filippo (centrosinistra più Udc), Pagliuca (Pdl)

-Campania: De Luca (Pd, Sel, Idv), Caldoro (Pdl)

-Puglia: Vendola (centrosinistra), Palese (Pdl), Poli Bortone (Udc)

-Umbria: Marini (centrosinistra), Modena (Pdl), Binetti (Udc)

-Toscana: Rossi (centrosinistra), Faenzi (Pdl e Lega), Bosi (Udc)

-Marche: Spacca (Pd, Idv, Udc), Marinelli (Pdl e Lega), Rossi (sinistra)

-Emilia Romagna: Errani (centrosinistra), Bernini (Pdl e Lega), Galletti (Udc)

-Liguria: Burlando (centrosinistra più Udc), Biasotti (Pdl e Lega)

-Piemonte: Bresso (centrosinistra più Udc), Cota (Lega e Pdl)

-Lombardia: Penati (Pd, Idv, Sel), Formigoni (Pdl e Lega), Pezzotta (Udc)

-Veneto: Bortolussi (centrosinistra), Zaia (Lega e Pdl), De Poli (Udc)

Buon voto a tutti e mi raccomando andate a votare. Nel dubbio, votate con la sinistra…

 

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Brutto episodio da Goito, comune in provincia di Mantova. Comune anche di una certa importanza se pensiamo che conta circa 10.000 abitanti. Il consiglio comunale, guidato da Anita Marchetti ha approvato un nuovo regolamento sull’accesso all’asilo comune. A votare a favore la maggioranza formata da Udc, Lega e una parte del Pdl; forti (fortunatamente) le proteste dell’opposizione. L’articolo 1 di questo nuovo regolamento recita infatti che solo i bambini provenienti da famiglie cristiane possono accedere all’asilo. La giustificazione della Marchetti è che rientra nella tradizione di gestione dell’asilo, basata sui valori cristiani.

Lasciamo stare per un momento la palese incostituzionalità del provvedimento. Quello che vogliamo infatti chiederci è: da quando in qua i valori cristiani si basano sul razzismo?

C’è in questo provvedimento una triplice stortura che non può lasciarci indifferenti. In primo luogo un pesante condizionamento religioso sull’attività dell’amministrazione pubblica. In secondo luogo, una stortura del pensiero religioso: se infatti il cristianesimo si basa su una fratellanza universale, qui viene utilizzato come becero fondamentalismo. Infine c’è un collasso della cosa pubblica, imponendo una disparità di trattamento non giustificabile.

Di fronte a un tale episodio potremmo anche dire: si tratta di un fatto circoscritto, sì esecrabile, ma che non va generalizzato. Ma sarebbe solo un modo per mascherare la realtà.

A Goito si è fatto un salto indietro di mille anni nella storia, agli anni bui del Medioevo. Preoccupante che sia avvenuto in quello che dovrebbe essere uno Stato moderno, civile e laico. Preoccupante è il razzismo dilagante nella nostra società. Guardiamo con odio il fondamentalismo islamico: in questo episodio non vedo differenze.

Goito è una realtà che non conosco assolutamente. Ma immagino che chi è arrivato ad un passo del genere, non sia uno sprovveduto o qualcuno che si è improvvisamente impazzito. Ho piuttosto paura che si sia fatto portavoce di un clima condiviso almeno dalla maggior parte della comunità.

Mi auguro per il momento degli immediati e decisi passi da parte di Berlusconi, Bossi e Casini, in quanto leader dei partiti che si sono espressi a favore di questo regolamento (anche se si tratta di un’amministrazione comunale, i consiglieri devono rispondere del loro operato di fronte ai partiti che rappresentano). Mi auguro anche una netta reazione da parte del Vaticano, il quale non può tacere su questo fatto.

Ma tutto questo come solo primo passo. In un secondo momento spero che avvenga una riflessione più generale sul dilagare del fondamentalismo dilagante in certe zone e in certe fasce italiane.

Diego Gavini

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