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Posts Tagged ‘bersani’

Cercare di capire come andrà a finire questa crisi interna alla maggioranza e quali ne saranno le conseguenze è una previsione che rimane molto oscura. Quel che è più facile capire è quello che si può volere da questa crisi, gli scenari più graditi; così, almeno per fare delle ipotesi.

Evidentemente andare avanti con questo governo è quanto di più deleterio sia immaginabile. Già ha fatto quanto di peggio ha potuto, ora, con un Berlusconi sempre più ostaggio della Lega, rischieremmo veramente il tracollo.

Ma le elezioni anticipate sono auspicabili? A mio avviso no. Bisogna infatti essere realisti. Avere un nuovo governo fragile, anche se di centro-sinistra, sarebbe un altro duro colpo per il paese (e anche per la sinistra). Perché parlo di governo fragile? Per una serie di ragioni. In primo luogo non è detto che l’accoppiata Berlusconi-Bossi non abbia chance in una nuova tornata elettorale, ed una loro nuova affermazione getterebbe l’Italia nell’abisso; inoltre, se anche i due dovessero perdere, non credo che perderebbero con un grande distacco percentuale, e abbiamo già visto quanto sia costata al secondo Prodi una vittoria risicatissima. In secondo luogo, anche nel caso in cui B&B non avessero i numeri per vincere, chi al momento attuale è pronto per l’alternativa? Non parlo qui di un’inadeguatezza dei partiti di sinistra, ovviamente. Parlo del fatto che i contorni della coalizione che deve sostituire il centro-destra non sono affatto delineati. Casini è dentro o fuori? Chi fa il premier, Bersani, Vendola o qualcun altro? Qual è il ruolo di Rifondazione comunista? Qual è il programma comune dell’attuale opposizione? Mettersi insieme e poi non sapere come governare non è certamente una prospettiva positiva. E in questi giorni si vede un’effettiva fretta. Di Pietro vuole il voto immediato. Vendola vuole il voto immediato. Entrambi però dimostrano una visione più egoistica che costruttiva, a mio avviso. Di Pietro vuole il voto perché sa che in questo momento come minimo raddoppierebbe i propri numeri (ricordiamoci che l’Idv alle elezioni politiche prese circa il 4%, oggi può puntare quasi alla doppia cifra). Vendola, dall’altro lato, vuole il voto per portare il suo partito in parlamento.

Detto questo, non vogliono dire che in Italia non ci sia la massima urgenza di un governo di centro-sinistra e di mettere finalmente Berlusconi ai margini della politica. Ma questa transizione ha bisogno di un minimo di tempo. C’è bisogno di un governo di transizione che modifichi la legge elettorale, che prenda due-tre provvedimenti importanti per la crisi, che metta in un angolo le discussioni sul ddl intercettazioni e qualcun’altro parimenti negativo come quello sull’università. In questo lasso temporale del governo di transizione il centro-sinistra avrà la possibilità, ma soprattutto l’obbligo, di costruire un vero progetto di alternativa.

Costruire una piattaforma seria, superando l’ingenuità di pensare che col voto immediato si risolve tutto, è un atto di responsabilità doveroso. Solo dopo questo atto sarà possibile finalmente mettere la parola fine alla triste pagina della dinastia berlusconiana.

Diego Gavini

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La sinistra scende in piazza di fronte alla manovra disegnata dal governo. Il 10 giugno, al Pantheon, sarà Sinistra e Libertà a chiamare a raccolta i suoi sostenitori. Sabato 19 giugno sarà invece il Pd a mobilitarsi. Pierluigi Bersani ha annunciato la manifestazione, che si terrà al Palalottomatica di Roma (zona Eur), con un appello “per un’altra politica economica, per la crescita e il lavoro contro una manovra ingiusta e sbagliata, per dare voce a tutti i protagonisti colpiti dalle scelte del governo.

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All’assemblea regionale del Pd laziale che si è svolta il 29 maggio, è arrivata al capolinea la segreteria di Alessandro Mazzoli. Non avendo raggiunto la maggioranza assoluta alle primarie, la segreteria di Mazzoli si era finora retta coi voti delle mozioni Franceschini e Marino, ma è stata da queste a lungo contestata. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la sconfitta alle elezioni regionali. Sc0nfitta in cui si è visto proprio in Mazzoli il maggior responsabile.

All’assemblea è stata presentata una mozione di sfiducia da parte di 206 delegati su 400. Mazzoli ha affermato di essere pronto per il bene a farsi da parte, impegnandosi a convocare entro venti giorni una nuova seduta per decidere il futuro della segreteria, vedendo se è possibile trovare una soluzione all’interno dell’assemblea. Altrimenti si apre la strada delle primarie (che dubito avranno grande successo).

Esprimono soddisfazione Morassut, ex segretario regionale sconfitto alle primarie di ottobre dove si era candidato per la mozione Franceschini, Ileana Argentin, candidata della mozione Marino, e Giovanni Carapella, coordinatore regionale dell’area Marino ed ex consigliere regionale (alle ultime elezioni non è riuscito infatti ad essere confermato). “Non è un’attacco personale a Mazzoli- affermano i tre- ma la strada migliore per far ripartire il Pd del Lazio unito. Risponde però Mazzoli (il quale presenterà le proprie dimissioni solo alla prossima assemblea: ” Il fatto che sia stata presentata una mozione di sfiducia è una cosa grave non solo dal punto di vista personale, ma di comunità. Noi siamo un partito plurale ma quando si dice ‘non mi fido di te’ si dice apertamente che io e te non possiamo stare nello stesso partito. L’idea stessa della mozione di sfiducia accentua i problemi e non ricerca soluzioni”.

Senza entrare nel merito dell’operato di Mazzoli in questi mesi, mi limito a due brevi considerazioni:

1) A prescindere dalla legittimità della contestazione al segretario del Pd-Lazio, ritengo fortemente sbagliata la strada intrapresa della sfiducia. Modalità che ricorda ancora una volta le divisioni interne del Pd e che quindi pone di nuovo sotto una cattiva luce il partito, proprio dopo che l’assemblea nazionale aveva mandato forti segnali per intraprendere un nuovo corso.

2) Sicuramente è da rivedere la modalità congressuale e l’assegnazione proporzionale dei delegati. Nel caso siano presenti più di due mozioni (come allo stato attuale) è infatti matematicamente complicato raggiungere la maggioranza assoluta. A livello nazionale si era corso questo rischio, ma Bersani era riuscito ad imporsi col 52% evitando, a mio avviso, di gettare nel caos il partito. Questo non è accaduto nel Lazio e Mazzoli ha subito sin dal primo momento il problema di non avere una maggioranza piena. In assoluto questa modalità risulta essere un problema perché rischia  di presentare anche in futuro situazioni analoghe, situazioni che diventano ingestibili ed esaltano le divisioni interne. La stessa mozione Marino è nata a mio avviso sulla speranza (poco nobile) di giocare sulla possibilità di spostare i propri voti da una parte o dall’altra, più che sulla volontà di portare realmente il proprio candidato alla segreteria. E, ripeto, questo non fa che accentuare i problemi, tanto a livello nazionale che regionale.

Diego Gavini

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Pubblichiamo in allegato il nuovo statuto del Pd per chiunque voglia prenderne visione. Statuto le cui modifiche, spesso sostanziali, sono state approvate dall’assemblea nazionale che si è svolta nei giorni passati, e che rientrano nella logica di dar vita ad un partito molto più strutturato rispetto al progetto “liquido” di Veltroni. Si comincia a sentire la mano di Bersani, a nostro avviso.

http://www.partitodemocratico.it/dettaglio/100454/statuto_del_partito_democratico

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Il Pd esce indubbiamente rafforzato dall’assemblea che si è svolta fra ieri ed oggi. Si è respirato finalmente un clima di unità, ed al contempo le diverse commissioni hanno prodotto documenti che rendono il programma del Partito Democratico un disegno ad ampio respiro e a lunghi tratti innovativo.

Da Youdem tv e il quotidiano on-line Europa riprendiamo gli interventi più significativi che si sono svolti all’assemblea.

1) apertura dei lavori di Rosy Bindi: http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=7aa144cd-714d-4da4-9979-8a43a361a6f1

2) discorso di apertura di Bersani: http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/118671/assemblea_del_pd_il_discorso_di_bersani

3) intervento di Massimo d’Alema:http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=80af45b0-3e6f-489b-9098-2ab49dcf27d7 

4) relazione di Migliavacca per l’approvazione delle modifiche dello statuto del Pd:http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=cc658ac5-c9d6-4c80-94ad-f0d9ca58ec2c 

5) intervento di Gianni Cuperlo:http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=0826efe2-c2b8-42b8-a2a5-44029c5b51d7 

6) discorso di Dario Franceschini: http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=c5385d46-ae54-4c89-9113-b3b502868a00

7) intervento di Cesare Damiano: http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=2fe726b6-1e9b-40e3-871a-8cd3a98d8f70

8) intervento di Franco Marini: http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=58bde959-f689-4f61-81c7-b29e494177ed

9) intervento di Jean-Leonard Touadi: http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=8b944ca0-dbef-48d9-9419-39ec67cf4865

10) discorso di chiusura di Pierluigi Bersani (diviso in tre parti approssitivamente di dieci minuti ciascuna): http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=9eea1a9e-6aba-4fbb-b72e-00c6b4d9f807 (I parte); http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=4f3b9b5b-d393-4f29-8c1f-8e8323bbbf84 (II parte); http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=c956def5-1929-499c-87af-5f3bda1b790f (III parte).

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Dopo le regionali, la figlia di Veltroni scriveva su facebook: qualcuno si deve dimittere. Dopo l’ennesima sparata del padre, credo che chi debba pensare seriamente a lasciare il Pd è proprio Veltroni. Il quale da quando il suo delfino Franceschini ha perso il congresso, continua, usando un modo di dire bersaniano, a “picconare la ditta”.

Non c’è occasione che non sia sfruttata dall’ex sindaco romano per creare danni. Bravissimo quando scrive o parla di cinema e di memoria storica. Dannoso quando vuole fare troppa politica. Una volta apprezzavo la figura di Veltroni, ma quello che sta succedendo ultimamente mi lascia ogni giorno più deluso.

La questione è molto semplice. Oggi, ad una riunione della sua area, è tornato a dire che o si fa come dice lui, o c’è il rischio spaccatura. Continua a criticare Bersani, affermando che è sbagliata la politica delle alleanze, è sbagliato il partito pesante, è sbagliato questo è sbagliato quello. Vorrei ricordare a Veltroni, che su queste cose, Bersani ha vinto un congresso. La vocazione maggioritaria di Veltroni, il cosidetto partito liquido e così via, tutte queste idee sono state bocciate dagli elettori del Pd. Qualcuno dovrebbe ricordarglielo.

Il problema non è la discussione interna al partito. E’ giusto che si confrontino le idee diverse. Ma ora Veltroni vorrebbe che le idee di una minoranza diventassero le idee di tutti. Vuole imporre la sua linea col ricatto della scissione. Vuole imporre la sua linea ad un partito che l’ha democraticamente rifiutata.

Se poi entriamo nel merito delle questioni, non capisco neanche bene quale sia il valore delle idee di Veltroni. Attacca le direzioni nazionali del Pd chiamandole caminetti, ma al contempo attacca la struttura legata al territorio. Non capisco: se i vertici non prendono le decisioni, se la base non contribuisce  al lavoro del partito, dov’è il partito? Chi dovrebbe agire? E qualcuno vorrebbe ricordargli che è stando sul territorio che si vince? Veltroni dice : “”La sfida e’ aprirci, cercare le forme e il linguaggio dell’apertura”. Se qualcuno mi spiega all’atto pratico cosa voglia dire, lo pago.

L’altra stupidaggine Veltroni la butta giù quando dice: “basta parlare di alleanze, Obama non ha detto ‘devo cercare di allearmi con qualcuno'”. Che la politica non sia fatta solo di alleanze sono d’accordo, e credo che sia d’accordo anche Bersani. Ma qualcuno vorrebbe ricordare a Veltroni che il sistema americano prevede solo due grossi partiti e che vince uno dei due e che quindi è normale che Obama non avesse bisogno di alleanze?

Arriviamo poi al nodo più “simpatico”. Veltroni afferma: “Berlusconi è fuori dalle regole della democrazia”, ma poi dice “non si possono fare solo comitati contro Berlusconi”. Ma detto questo, bisogna aprire una riflessione, collegando tutto quello su cui mi sono brevemente soffermato nei punti precedenti.

Il problema di Veltroni è che pensa di vivere negli Usa e non Italia. In pratica pensa alcune cose: pensa che i partiti non siano necessari e che la politica è una questione di personalismi, così come negli Usa. Pensa poi che i partiti in Italia sono solo due, quello del Pdl (che sarebbero i repubblicani) e il Pd (appunto i democratici); dimentica però che ce ne stanno anche altri e che non sono neanche tanto piccoli; e dimentica anche che non possono entrare nel Pd o nel Pdl, perché non c’entrano niente con loro. Attacca Berlusconi, ma si dimentica di essere stato la sponda ideale per Berlusconi. Berlusconi aveva infatti due problemi essenziali: voleva governare con un’ampia maggioranza e voleva fare un grosso partito. Voleva un grosso partito sì, ma non perché il partito dovesse fare politica, ma perché uno solo è più facile da controllare. A Veltroni tutto questo ragionamento non sembrava vero: anche lui voleva la figura del premier mitizzata e voleva un partito “all’americana”, in pratica un partito che non rompesse troppo i cosidetti. Risultato: Berlusconi governa con una maggioranza esagerata e sta distruggendo il paese; il Pd ha difficoltà a fare una seria opposizione perché Veltroni piange come un bambino visto che gli hanno rotto il giocattolo che gli piaceva tanto (lo fa anche Franceschini, ma solo perché è papà Veltroni che gli ha detto di urlare un po’).

Veltroni continua a parlare tanto di Obama. Personalmente ammiro tantissimo il presidente americano. Ma, come ha detto Veltroni, è Obama che ha vinto. Non il Partito Democratico. Ha vinto una persona da sola, non un’organizzazione di persone. Uno come Obama in Italia non c’è; pensiamo quindi a costruire un partito, altrimenti qua continuiamo a sprofondare sempre di più. Comincia a pensarci seriamente Walter.

Diego Gavini

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Cresce il laboratorio del Pd per la costruzione di una vera alternativa di governo con il prendere sempre più forma del progetto “Italia 2011”. L’idea è quella di individuare dieci parole chiave su cui sviluppare la linea del partito, attraverso un disegno ad ampio respiro che metta insieme le idee dei forum che già stanno lavorando sui temi principali, dei circoli e della mobilitazione cittadina, un vero work in progress che ha la speranza di convogliare le energie migliori sul programma del Pd.

L’obiettivo è quello di completare questo difficile lavoro entro la fine dell’anno. Momenti salienti saranno tre assemble programmatiche del Pd, di cui la prima già in agenda per il 21 e il 22 maggio; assemblee che avranno il compito di tradurre le diverse idee nell’atto pratico di presentazione di diverse proposte di legge.

La prima parola chiave è, come già abbiamo scritto, “sapere”, ovvero la centralità dell’istruzione come base imprescindibile per ripartire. Altre sono già state individuate in: lavoro, riforme istituzionali, green economy e giustizia. Lo scopo è completare questo quadro.

Secondo Bersani quattro devono essere i principi-guida di questo laboratorio: la capacità di innovazione, la consapevolezza che assicurare il lavoro restituisce un orizzonte per il futuro, il rispetto della Costituzione e l’idea che il federalismo deve rafforzare l’unità nazionale.

Certamente “Italia 2011” appare un progetto innovativo e affascinante. Tre sono però certamente gli ostacoli che deve superare il Pd per far sì che prenda corpo un disegno concreto e ambizioso e per far sì che non rimangano tutte parole:

1) deve avere la forza comunicativa di porre al centro dell’attenzione mediatica questo progetto, in modo da slegarsi dall’idea che si è formato nell’immaginario comune, per cui il Pd è un partito passivo che si limita a fare una blanda opposizione o che si fa trascinare solo dal berlusconismo

2) deve realmente convolgere le forze della società civile e dei circoli, unica via per far diventare questo laboratorio di idee un laboratorio popolare e realmente partecipativo; nell’atto pratico, deve veramente far convogliare l’attività dei circoli e della mobilitazione intorno a questa iniziativa

3) deve superare le sue divisioni interne, ed unire le varie forze intorno a questo progetto cercando una sintesi fra le diverse proposte

Diego Gavini

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Uno dei punti in cui è più evidente la scelleratezza del governo della destra è indubbiamente la distruzione che sta compiendo della scuola dell’obbligo e dell’università. Dietro ai tagli, dietro alla Gelmini, c’è lo smantellamento dell’istruzione e della ricerca, la destrutturazione di un sistema già abbastanza in crisi.

E’, a mio avviso, il segnale più evidente del malgoverno che abbiamo in Italia. E forse proprio per questo è una delle cose di cui si parla e si parlato di meno. Se non ci fosse stato il movimento studentesco contro la Gelmini probabilmente non se ne parlava neanche.

Il Pd ha tal proposito ha fatto poco e niente ad essere sinceri. L’allora segretario Veltroni non montò affatto la protesta e non portò avanti una seria proposta alternativa.

Ma ora il Pd torna a parlarne. Aggiungerei per fortuna, visto che è meglio tardi che mai. Nel piano “Italia 2011” presentato dal partito di Bersani, il problema dell’università è stato giustamente messo in primo piano, con un’idea molto semplice ma terribilmente vera: senza un’istruzione vera, questo paese sprofonderà.

Enrico Letta ha introdotto le proposte del Pd con una frase molto chiara: “Una buona riforma è alla base della ripartenza dello sviluppo economico del Paese. Il capitale umano è centrale”. Ed ora queste proposte faranno il giro degli atenei italiani, partendo il 10 maggio da Napoli, per condividerle e ad approfondirle con i corpi interessati, studenti, ricercatori e professori, in un tour che si concluderà a luglio.

Impossibili da non condividere le parole di Bersani (il rimpianto è che i suoi predecessori non le hanno dette prime): la riforma della Gelmini è un clamoroso bidone, un taglio colossale in termini quantitativi e qualitativi mascherato dai discorsi sulla governance (il sistema di governo degli atenei). E ha finalmente detto quello che l’Onda (il movimento studentesco) ha sempre affermato: il taglio di 8 miliardi per la scuola e di 1,4 per l’università è una vergogna.

Il primo passo del disegno del Pd sull’università parte dalla constatazione del livello del sistema odierno dell’università e dei danni della Gelmini.

Iniziamo con le statistiche presentate in conferenza stampa. Rispetto ai paesi della Ue in Italia si ha il 12% di laureati contro il 26%; per ogni studente si investono 6.900 euro contro una media di 9.600; troppo alto poi il rapporto docenti\studenti. L’Italia poi investe appena lo 0,8% del Pil contro l’1,3% della media Ue.

Di fronte a strutture, aule, laboratori e residenze universitarie in una situazione già grave, si aggiunge la riduzione della legge 133 sul Fondo di Finanziamento Ordinario di ben 1,4 miliardi su 7 in quattro anni. Inoltre si sta arrivando velocemente il collasso: per legge da questo Fondo può essere utilizzato al massimo il 90% per gli stipendi del personale. La Corte dei Conti ha confermato che siamo invece praticamente al 100%. Che succederà fra un anno con la riduzione ancora maggiore del Fondo? Le università che riusciranno a sopravvivere, quale offerta formativa a lungo termine potranno garantire con la riduzione del Fondo e dei ricercatori?

Il ddl Gelmini non risolve poi alcun problema. I punti su cui maggiormente si sofferma sono la composizione dei Consigli di amministrazione e dei Senati accademici (aggiungo io: in pratica la ripartizione dei posti). Si è poi burocratizzata in ogni forma la vita degli atenei, con l’introduzione di nuove 170 norme e 500 regolamenti per controllare ogni singolo passaggio, il che porterà inevitabilmente a una sclerotizzazione dell’intero sistema.

Di fronte a questa situazione, il Pd afferma che vuole porre al centro della sua agenda politica (altra buona notizia) la situazione dell’istruzione, affermando che solo un disegno di ampio respiro e in un’ottica a lungo termine per rilanciare il settore realmente fondamentale del nostro paese.

Le idee del Partito Democratico vertono principalmente intorno a quattro nodi principali:

1) Gli studenti. Le parole chiave devono essere: diritto allo studio, welfare, promozione del merito. Per arrivare a questo occorre finanziare un programma nazionale di borse di studio e  ripartire le risorse per facilitare la mobilità, ridurre gli abbandoni e i tempi per arrivare alla laurea.

2) I ricercatori. Qui le parole chiave sono: percorsi rapidi e regole chiare. Serve, secondo il Pd, aprire l’università ad una nuova generazione di ricercatori: per far questo servono 100 milioni all’anno per garantire ai ricercatori di diventare docenti. Bisogna poi svecchiare quella che è la classe di professori più anziana: dopo i 65 anni solo chi è ancora impegnato in una ricerca attiva può continuare a svolgere compiti didattici. Va poi abolito il turn over della 133 che prevede un solo nuovo docente di fronte a cinque che vanno in pensione.

3) La Governance. In primo luogo occorre distinguere i ruoli di Senato Accademico e Consiglio d’Amministrazione per evitare pericolose commistioni. Servono poi regole precise per l’apertura agli esterni (aggiungo io: considerando che l’università deve essere pubblica e l’apporto esterno deve essere a solo vantaggio dell’università, non di chi ne vuole ricavare un personale tornaconto). Le risorse vanno poi ripartire su quattro parametri: numero degli studenti, valutazione di ricerca e didattica, diritto allo studio e coesione territoriale.

4) Risorse. Qui il discorso è molto semplice. Il taglio è una vergogna, considerando soprattutto che l’università italiana ha bisogno di molti soldi in più, non in meno. La proposta del Pd è dunque quella di eliminare i tagli e aumentare le risorse fino a pareggiare, nell’arco di dieci anni, la media europea.

Mi prolungo nel dare spazio a questo tema perché a mio avviso è realmente centrale per il destino dell’Italia. Un’istruzione di primissimo ordine garantisce due fattori fondamentali: la capacità di svilupparsi in maniera più feconda da un lato, una maggiore eguaglianza sociale dall’altro. La distruzione della scuola pubblica e della ricerca che va avanti da anni è non solo ottusa da un punto di vista produttivo e nella capacità di rinnovare i saperi, ma crea anche diseguaglianze da un punto di vista sociale. Il fatto che il Pd torni a porre tale questione al centro della sua agenda politica mi sembra un elemento che merita tutta l’attenzione possibile, nella speranza che tale slancio non si affievolisca.

A mio avviso mancano due punti a quelle che sono le idee e le proposte del Pd. Ma trattandosi di un interessante progetto di work in progress (oltre al tour, questi temi sono dibattuti in Forum universitario in cui si studiano i diversi aspetti del problema), non voglio escludere che prima o poi entrino nel panorama democratico:

1) occorre definire una vergogna l’incessante aumento dei fondi per la scuola privata a fronte della depauperizzazione delle risorse per l’istruzione pubblica, meccanismo che accentua quel divario di eguali possibilità cui accennavo sopra.

2) l’università pubblica deve sostituire i grandi atenei privati nel loro punto di forza: la capacità di collegare il mondo dell’istruzione con quello del lavoro. Tale funzione va infatti svolta da un’istituzione che garantisce una parità di accesso piuttosto che una selezione elitaria.

Diego Gavini

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Siamo alle solite. Appena si crea un problema nella  maggioranza (lo scontro fra Fini e Berlusconi), il Pd,  invece di compattarsi e trarre vantaggio dalla  situazione, riesce a litigare pubblicamente. Lo  scenario è il seminario dei liberal del Pd di Valmontone, incentrato proprio sul tema come fa il Partito democratico a vincere. Presenti i più importanti del partito: Bersani, D’Alema, Franceschini. Gli ultimi due, si sa, non si possono vedere più tanto e ce ne siamo accorti nuovamente.

Alla domanda come vincere, la risposta è stata diametralmente opposta: costruire una rete di alleanze secondo D’Alema, con un occhio magari anche a Fini, ritornare alla vocazione maggioritaria delle origini secondo Franceschini.

Il Pci aveva tanti difetti magari, ma una cosa buona sicuramente ce l’aveva: si discuteva, ma fuori usciva una sola voce. Oggi invece è una gara a chi fa più caos. Franceschini è l’ultimo esempio.

Si parla infatti tanto di qual è l’identità di questo partito. Sicuramente è difficile dargliela se il segretario dice una cosa e tutti gli altri puntualmente l’opposto ed usano poi ogni mezzo per avere una cassa di risonanza.

Qui abbiamo un caso molto semplice. Bersani ha proposto al congresso una sua linea: bisogna riaprire il cantiere dell’Ulivo perché non è realistica la vocazione maggioritaria. Franceschini ha detto l’esatto opposto. La linea di Bersani ha vinto anche con un certo margine. Quindi significa che la maggior parte degli elettori del Pd ha condiviso l’idea di Bersani e bocciato quella di Franceschini. L’idea della vocazione maggioritaria è stata superata. Riproporla significa dunque che non si è capito cosa vuole la maggioranza del partito. Oppure significa, il che è più credibile, che si vuole solo fare il maggior caos possibile.

Sicuramente l’esito di queste regionali è stato ampiamente favorevole ai veltroniani-franceschiniani, perché ha permesso di volgere la situazione a proprio favore. Un risultato che evidentemente non è stato una sconfitta per il Pd, è stato invece da costoro così presentato appositamente, proprio per incrinare la leadership di Bersani. Non passa giorno che non ricordano in tv o sui giornali che il Pd ha perso e lo dicono in una maniera tale che sembra siano contenti. Ingigantire la percezione della sconfitta, finisce per fartela apparire reale. E su questi sono stati bravissimi.

Domani ci sarà la prima direzione nazionale del partito dopo le elezioni, immagino quello che succederà. Ma una cosa è certa: è inutile parlare tanto di identità, se non si fa che remare contro. Se questo atteggiamento non cambia, non si va da nessuna parte.

Aggiungo poi un’altra annotazione personale. Sono contento che la linea di Franceschini sia stata a suo tempo bocciata, perché l’idea del bipartitismo è stata la più scellerata che si poteva avere. Per una serie di motivi. In primo luogo perché in Italia non esiste evidentemente una situazione politica che permetta il bipartitismo: non rendersi conto che esistono Lega, Idv, Udc e compagnia bella è certamente preoccupante. In secondo luogo, perché così facendo si concede la possibilità alla coppia Berlusconi-Bossi di governare in tranquillità fino a che morte non li separi. In terzo luogo perché questo sistema concede ad un personaggio dalle aspirazioni autoritarie come Berlusconi di avere maggioranze parlamentari che gli permettono di fare il bello e il cattivo tempo. In quarto luogo perché la politica deve essere fatta dai partiti, non dai due candidati premier, altrimenti è tutto soltanto uno show come avviene negli Usa (e la nascita di un uomo come Obama purtroppo è solo un caso, non la regola). E’ per questi motivi che il futuro del Pd passa poi anche dalle riforme istituzionali e dalla legge elettorale: continuare con la legge elettorale di oggi ti fa morire lentamente; superare il bicameralismo con un presidenzialismo significa dare direttamente la corona a Berlusconi. Il Partito Democratico ha quindi l’obbligo di trovare una propria soluzione alternativa a quelle elaborate da personaggi come il Cavaliere o Calderoli; ed una volta trovata, deve essere appoggiata e difesa da tutto il gruppo dirigente.

Diego Gavini

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Appare sempre più inevitabile la rottura fra Berlusconi e Fini. Il pranzo di ieri tra i due, che doveva sancire la riconciliazione, si è risolto in minacce da entrambe le parti. Fini ha avvertito il Cavaliere: “se non si farà come dico, sono pronto a creare gruppi autonomi all’interno delle camere” (inoltre è già pronto il nome: Pdl-Italia). Berlusconi gli ha replicato: “se è così, devi lasciare la presidenza della Camera”.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata, come c’era da aspettarsi (e come avevamo già scritto), la vittoria della Lega alle regionali rispetto al Pdl. Per Berlusconi infatti, come ha sottolineato Rosy Bindi, si è trattato di una vittoria di Pirro. Il Pdl è ormai succube di Bossi. Non ha mancato di sottolinearlo Bocchino (ha dichiarato alla Repubblica: “la coalizione al Nord è nettamente a trazione leghista”) e non mancano di sottolinearlo i fatti: i leghisti ora vogliono tutto. Vogliono fare le riforme istituzionali (fra le altre cose Fini non ha affatto gradito la bozza presentata da Calderoli al Colle in maniera del tutto autonoma), vogliono le poltrone (dopo il Piemonte e il Veneto il prossimo obiettivo è Milano), vogliono le banche del Nord.

Si sa che questa avanzata della Lega non è mai piaciuta a Fini. Gli ultimi fatti lo hanno portato al passo decisivo di minacciare un gruppo autonomo. Secondo il presidente della Camera infatti, il problema è tutto interno al Pdl e alla gestione di Berlusconi. Un Pdl che non è mai stato un partito organizzato, ma un semplice cartello elettorale, in cui gli organismi dirigenti non contano nulla, perché tanto decide il monarca Berlusconi (sempre Bocchino afferma: “un partito in cui non si è mai riunita la direzione nazionale”). Per Fini il problema è dunque politico: senza un partito degno di tale nome, la deriva leghista è inevitabile. Il cofondatore del Pdl sa però che questi ragionamenti non toccano molto Berlusconi: al premier basta vincere e gli è sufficiente avere la maggioranza al Parlamento e nelle Regioni. Se questo significa un maggior peso di Bossi, a lui non interessa nulla. La gestione di un partito poi ancor di meno: tanto i problemi si risolvono coi decreti legge  che impediscono la discussione all’interno dello stesso Pdl. Se poi Fini se ne va, meglio ancora: Berlusconi ha già fatto i calcoli, i numeri finiani non inciderebbero sulla tenuta delle Camere.

Quali sono ora gli scenari che si aprono? Schifani (scavalcando nuovamente le prerogative del capo dello Stato) ha già annunciato: “se c’è rottura si va alle elezioni”. Ma ovviamente le elezioni anticipate sono solo l’ultima spiaggia e non credo che nessuno, compreso la sinistra, abbia intenzione di arrivarci. In primis lo stesso Fini, che vuole solamente far sentire il proprio peso e costruire la sua futura guida della destra: e ora è troppo presto. Non le vuole neanche Berlusconi: magari vincerebbe, ma si troverebbe con una maggioranza più ristretta e con una Lega troppo forte, anche più di quanto può sopportare lo stesso premier. Anzi, se c’è qualcuno che magari vorrebbe andare alle elezioni anticipate è proprio Bossi che sa quanto potrebbe raccogliere ora il suo partito. Non credo che le elezioni anticipate siano molto gradite anche a Bersani, impegnato in una difficile costruzione di un campo largo di alleanze, costruzione che ha ancora bisogno di tempo; altro obiettivo del segretario del Pd è poi sicuramente cambiare la legge elettorale: andare a votare oggi, con questa legge e senza un’adeguata rete di alleanze, significherebbe una sconfitta troppo traumatica per il Pd.

Ciò che si può prevedere oggi è semplicemente un Berlusconi pronto a preparare uno specchietto per le allodole: fare qualche concessione al suo scomodo alleato e tenerlo buono il più a lungo possibile. Bisogna vedere come reagirà a questo giochetto Fini. E, dall’altro campo, vedere come il centro-sinistra riesca a compattarsi nei tempi più brevi possibili per saper cogliere ogni più piccolo spiraglio.

Diego Gavini

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