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Archive for gennaio 2010

                  

Lazio, Puglia e Umbria. Tre sintesi perfette di uno dei problemi del Pd e della politica più in generale.

Il Lazio è una regione scomoda per la sinistra, difficile da riconquistare dopo lo scandalo-Marrazzo. Candidati del Pd? Zero. Partito salvato dalla candidatura, fino a prova contraria esterna al Pd, di Emma Bonino. A prescindere dal valore della Bonino, il vento di anticonformismoche  il suo nome rappresenta, e che potrebbe non far male, resta il fatto evidente che nel Pd nessuno ha voluto tentare l’avventura elettorale. Di fronte a scarse possibilità di vittoria, ognuno ha posto la propria carriera di fronte al partito.

Per alcuni versi, simile il caso pugliese. Qui il candidato del Pd, Boccia, c’è stato, nonostante le scarse possibilità di battere Vendola alle primarie. Ma la Puglia è una regione più facile da conquistare a marzo, quindi più allettante: il gioco potrebbe valere la candela. Ma la cosa che più dispiace sentire sono le parole di Boccia nella conferenza stampa successiva alla sconfitta: “ho accettato di correre un grande rischio”. Di quale grande rischio si stia parlando, non riusciamo a capire. Perdere le primarie? E qual è il problema? Quando ci si candida, lo si fa  in nome del partito, non a proprio rischio e pericolo. Il problema ovviamente non è Boccia. Il problema è che troppi pronuncerebbero le sue stesse parole.

Arriviamo in Umbria e il caso si rovescia. Regione dove le possibilità di vittorie sono elevatissime. Candidato condiviso oppure primarie? Primarie. Ma solo perché sono troppi ad ambire alla poltrona. Poltrona sicura e ricompaiono le mozioni. E il 7 febbraio, alle primarie, si scontreranno tre candidati, uno per mozione. Ma sbaglio o il congresso era finito?

Sintesi. Dove c’è aria di scofitta, il partito si dilegua. Dove si sente la vittoria, il partito si divide, ognuno cerca di prendersi quel che può. Peraltro col rischio di perdere ulteriori voti.

Con tutto ciò non possiamo non ricollegarci al problema della responsabilità della politica. Una politica che da troppo tempo ha perso l’accezione di amministrazione della cosa pubblica, di responsabilità istituzionale. Ed è diventata amministrazione delle poltrone. E questo, almeno in un partito che deve rappresentare la sinistra italiana, non può accadere. Anzi, è da questo stesso partito che dovrebbe ripartire una spinta in una direzione c0ntraria.

Diego Gavini 

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(ANSA) SYDNEY – Un surfista si è salvato dopo aver preso a pugni uno squalo che lo ha attaccato in una spiaggia vicino Bundaberg, nel Queensland.

Secondo gli esperti potrebbe essersi trattato di uno squalo-tigre, una specie nota per avvicinarsi alle spiagge della zona per cibarsi di tartarughe, particolarmente abbondanti in questo periodo, stagione degli accoppiamenti. Una donna che ha assistito alla scena ha raccontato alla tv Abc di aver visto l’acqua ribollire intorno al surfista pochi secondi prima che questo cominciasse a battere forte i pugni nell’acqua. L’uomo, che fino a pochi minuti prima surfava insieme a suo figlio, è tornato a riva senza un graffio. Ha raccontato ai bagnini di essere stato urtato da una grossa cosa grigia. Secondo Tom Hay, del Queensland Shark Control Program, che studia gli spostamenti degli squali nella zona, gli squali tigre sono piuttosto comuni nella zona di Bundaberg. Sono presenti tutto l’anno, bisogna tenere gli occhi aperti e avere i riflessi pronti, ha detto.

Speriamo di non litigare mai con un tipo del genere

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(ANSA) – ROMA, 29 GEN – Italia fanalino di coda tra i Paesi dell’Ocse per salari percepiti e nella top ten per il cuneo fiscale, secondo il rapporto Eurispes 2010. La retribuzione media dei lavoratori italiani e’ di 14.700 euro netti. Dal rapporto Eurispes emerge anche che la laurea non e’ piu’ garanzia di lavoro stabile e ben retribuito, che gli italiani sono piu’ pessimisti per la crisi economica e che gli incidenti sul lavoro costano al Paese 40 mld l’anno.

ROMA – Il tasso di disoccupazione a dicembre é salito all’8,5% dall’8,3% di novembre. Lo rileva l’Istat, precisando che è il dato peggiore da gennaio 2004, inizio delle serie storiche. I senza lavoro sono 2.138.000, 57mila in più rispetto a novembre e 392mila in più rispetto a dicembre 2008.

L’Istat segnala che il tasso di disoccupazione a dicembre era di 1,5 punti più alto rispetto al 7% del dicembre 2008 con un incremento percentuale del 22,4%. La disoccupazione giovanile (tra i 15 e i 24 anni) ha raggiunto a dicembre 2009 il 26,2% con un aumento di tre punti rispetto allo stesso mese del 2008. Il tasso di disoccupazione è salito a dicembre rispetto a novembre a fronte di una sostanziale tenuta congiunturale dell’occupazione (+7.000 unità) a causa anche dell’entrata sul mercato di nuove forze di lavoro e della riduzione dell’area di inattività nella fascia tra i 15 e i 64 anni (-0,1% su novembre). Le donne appaiono leggermente meno penalizzate dalla crisi (soprattutto a causa del loro impiego nel terziario piuttosto che nell’industria, comparto questo che ha subito le perdite maggiori) e sembrano pronte a guidare la ripresa occupazionale. L’occupazione maschile a dicembre infatti è pari a 13.687.000 unità con un calo dello 0,1% rispetto a novembre (-10.000 unità) e dell’1,8% rispetto a dicembre 2008 (-245.000 unità). L’occupazione femminile è pari a 9.227.000 con un aumento rispetto a novembre dello 0,2% (+17.000 unità) a fronte di una riduzione dello 0,7% (-61.000 unità) su dicembre 2009.

Ma la crisi non era finita?

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Il rapporto Sos, presentato dalla Confesercenti parla chiaro: nessuna azienda, nessun gruppo imprenditoriale, in Italia è forte quanto la mafia. Quest’anno la criminalità organizzata ha fatturato 135 miliardi di euro. A questo occorre aggiungere i reati “economici” commessi per gonfiare questo enorme business: commercianti ed imprenditori subiscono 1.300 reati al giorno, ovvero quasi uno al minuto; l’usura ha colpito 200 mila imprenditori, con un giro d’affari stimato intorno ai 20 miliardi d’euro. Le estorsioni appaiono invece come una voce di “bilancio” non così particolarmente brillante: 150 commercianti colpiti, per un totale di 6 miliardi. Come mai, così “poco” (l’estorsione è infatti l’unico settore che nel 2009 non ha avuto un incremento)? Il rapporto spiega anche questo: cala il numero di commercianti, aumenta il numero di esercizi commerciali direttamente controllati dalla mafia.

Il bilancio di questi dati parla chiaro. Da anni ormai la mafia agisce quasi in silenzio. Mentre noi tutti ce ne stiamo piano piano dimenticando, mentre il governo vanta un record di una media di otto arresti di mafiosi al giorno, la criminalità organizzata è diventata nel frattempo la grande proprietaria d’Italia. Radicata al Sud ha allungato definitivamente i tentacoli sul resto del paese, in una crescita che non trova più ostacoli. Forse uccide di meno. Ma di certo, è la più importante forza di potere in Italia. 

Troppe sarebbero le considerazioni da fare a proposito. Mi limito a fare una domanda: quanti soldi dei mafiosi abbiamo fatto rientrare in Italia con lo scudo fiscale? Tremonti è in grado di fornirci qualche dato, almeno approsimativo, a riguardo?

Diego Gavini  

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 (ANSA) – PALERMO, 23 GEN – Il senatore Udc, Salvatore Cuffaro, condannato a 7 anni di carcere per mafia annuncia di lasciare ogni incarico nel partito. All’ex governatore della Sicilia i giudici hanno riconosciuto nel processo di secondo grado il favoreggiamento aggravato e la rivelazione di segreto istruttorio. ‘So di non aver mai voluto favorire la mafia – dice Cuffaro – e di essere culturalmente avverso a questa piaga, come la sentenza di primo grado aveva stabilito. Prendo atto pero’ della sentenza’.

Già lo immaginavamo, ma ora è ufficiale, che Cuffaro, da vero rappresentante dell’Udc, è particolarmente vicino alla “famiglia”.

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 (ANSA) – ROMA, 20 GEN – La possibilita’ di assolvere l’ultimo anno di obbligo scolastico anche in percorsi di apprendistato: lo prevede un emendamento al ddl lavoro. Il ddl, collegato alla Finanziaria, e’ stato approvato dalla commissione Lavoro della Camera: lunedi’ approdera’ in Aula, per poi tornare al Senato per il via libera definitivo. Di fatto si potra’ cominciare a lavorare come apprendisti gia’ a 15 anni e questo varra’ come se si fosse stati in classe. Contraria la Cgil: ‘Si smantella l’obbligo scolastico’.

Sulle picconate che si stanno dando alla scuola pubblica negli ultimi tempi, ci sarebbe troppo da dire. Il caso più eclatante sono gli imponenti tagli all’università previsti dalla finanziaria, i quali da soli, ci raccontano verso quale futuro sta andando l’Italia. Le modalità con cui uno stato garantisce  l’istruzione, sono un indice inequivocabile per comprendere la lungimiranza di una classe dirigente. Senza istruzione infatti non c’è futuro. Specialmente in un momento di crisi è poi fondamentale investire ulteriormente nell’istruzione, un’occasione per un rilancio ancora più importante, mentre tagliare significa soltanto vedere nella spesa per la scuola un’inutile aggravante. Il che equivale a dimostrare l’immaturità della nostra classe politica. Al contempo, i modi con cui questo campo fondamentale viene gestito, sono indice della visione generale con cui si vuole condurre una società. A un’istruzione pubblica sempre più debole, in Italia sta corrispondendo un’istruzione privata sempre più forte. Il che vale a dire una cosa molto semplice: chi può permetterselo, può studiare, ed ambire a far parte della classe dirigente di domani. Per tutti gli altri, l’istruzione è garantita nelle forme e negata nella pratica.

Oltre a questi aspetti primari, che meriterebbero molti approfondimenti, c’è un altro modo, molto semplice, per indicare la maturità di uno Stato: l’età dell’obbligo scolastico. Un elemento quasi insignificante, ma in realtà decisivo per comprendere il grado di sviluppo stesso di una società. L’Italia ha visto progressive conquiste in questo campo nel corso del tempo. Quello a cui adesso assistiamo è un allarme invece molto preoccupante, perché sintomo di una malattia più grande, ovvero un enorme passo indietro nel tempo: invece di evolvere verso un’istruzione sempre più di alto livello, e sempre di più paritaria, stiamo ritornando a forme molto più antiche di intendere la gestione della scuola e dell’università.

Diego Gavini 

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Oggi Federico Fellini, il miglior maestro del cinema italiano, avrebbe compiuto novant’anni. Fra tutti i suoi capalovori, il più grande è forse Otto e 1\2, autentica lezione di cosa significa cinema. Ma il più rappresentativo e il più conosciuto, resta sicuramente l’indimenticabile La Dolce Vita.

Dopo i fischi della prima, nel 1960 a Milano, e gli scandali per le scene trasgressive, arrivarono la Palma d’oro, l’Oscar per i costumi e infine il successo mondiale, preludio all’entrata di diritto nell’immortalità della storia del cinema.

Ritratto di un’Italia nuova, opulenta, lontana dagli stenti registrati dal neorealismo, La Dolce Vita ci trascina in una Roma sfrenata e indolente, pigra e mondana, che si muove fra il sacro e il peccato, l’antico e le star del cinema. A perdersi in questo girone infernale, è l’indimenticabile Marcello Mastroianni che interpreta Marcello Rubini, personaggio perfettamente costruito, alter-ego dello stesso Fellini ma con in viso i tratti melanconici e bellissimi di Mastroianni.

Marcello è un personaggio ambiguo e complesso che vive dentro quella giungla moderna e caotica che è Roma, ed è al contempo ne è fuori; è l’incompiutezza fatta persona: sogna di essere uno scrittore, ma si riduce a fare il giornalista mondano; ama di amori futili le splendide donne che incontra e non riesce ad abbandonare la sua compagna (“questo non è amore, è abbrutimento”); consapevole del suo malessere, non ha alternative a un lento degrado. Le sue ambizioni, la sua voglia di fare, sono sempre vinte dall’indolenza e dalle tentazioni di una Via Veneto divenuta simbolo della vita notturna per eccellenza dopo le immagini di Fellini, centro di quel caos che è segno indelebile dei fantasmi dello stesso regista riminese.

La trama si muove attraverso episodi giustapposti, a indicarci una lenta e inesorabile caduta libera; la possibilità di scardinare questo impianto cronologico e ricostruire il film secondo una successione diversa di scene, indica la ciclicità di quello che accade a Marcello: l’impossibilità di una via d’uscita. Intorno a lui si muovono personaggi indelebili, complementi necessarri allo stesso protagonista: dall’intellettuale Steiner, all’apparenze felice, morto suicida, al padre così goliardico da imbarazzare; dall’annoiata e affascinante Maddalena di Anouk Aimeé, alla leggendaria Silvya di Anita Ekberg, simbolo del frutto proibito, passata direttamente dal bagno nella Fontana di Trevi alla leggenda, col suo richiamo che non smette ancora oggi di risuonare: Marcello come here.

Dopo una serie di scene entrate nell’immaginario collettivo, dal già citato bagno nella fontana di Trevi allo spogliarello notturno in una festa a Fregene, il film si chiude proprio sulla spiaggia antistante la villa della festa. Dei pescatori hanno trascinato sul bagnasciuga un pesce dalle sembianze di un mostro. Marcello lo guarda inorridito, riconoscendo nel mostro lui stesso. Si allontana, ancora vestito elegantemente di bianco. Da lontano sente un richiamo, è una ragazzina da lui precedentemente conosciuta, Paola. Lei potrebbe essere la sua ultima speranza, il ritorno a un’innocenza perduta: ma il vento disperde le parole, Marcello non riesce a sentirla. Con un cenno la saluta, lei lo guarda sorridendo, e il film si chiude su questo sorriso che per un attimo si rivolge verso la telecamera, con il primo piano più riuscito nella storia del cinema.

   Diego Gavini                 

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(ANSA) – TERMINI IMERESE, 20 GEN – Prima notte all’addiaccio per i 16 lavoratori della Delivery Email, saliti ieri sul capannone della Fiat di Termini Imerese. Gli operai hanno ricevuto le lettere di licenziamento in seguito alla decisione della Fiat di riassorbire le attivita’ di pulizia dei cassoni per la raccolta dei materiali finora assegnata in appalto alla ditta Delivery. I lavoratori hanno dormito in sacchi a pelo per terra, al freddo e al buio, e non intendono sospendere la protesta.

Quando parliamo di crisi, sentiamo cifre su licenziamenti, disoccupati, crollo del Pil. Dietro ogni licenziato, vi è invece un dramma personale che pochi raccontano: il dramma dell’incertezza del futuro, e l’impossibilità improvvisa di dare da mangiare alla propria famiglia. Dietro molti licenziati, vi è poi la mancanza di responsabilità dei dirigenti delle grandi imprese, per cui il guadagno immediato è superiore a qualunque altro genere di scrupolo. In tv e sui giornali non si fa che parlare di Berlusconi e processo breve. Grandi drammi personali si consumano invece quotidianamente lungo tutto il Paese. Drammi come quelli che ora iniziano a vivere gli operai di Termini Imerese. La nostra solidarietà a chi, come queste persone, sta vivendo momenti simili.

A questo occorre aggiungere il dramma, ancora più devastante, dei morti del lavoro, vera e propria piaga del nostro Paese. Una catena così abituale, da non fare più scalpore. Di oggi è però la notizia della morte di un altro lavoratore a Trieste, dipendente della Società Elettra Centrale di Milano. L’uomo lavorava all’interno degli impianti di lavorazione di gas residui del comprensorio della Ferriera di Servola, ed è tragicamente deceduto in seguito a una caduta dalla gru.

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In questi giorni stiamo assistendo ad ogni sorta di tentativo di riabilitazione della figura di Bettino Craxi. A farsene carico, oltre la famiglia, un’intera classe politica. Cicchitto, Schifani, Sacconi, Brunetta, tanto per fare alcuni nomi, tutti uomini che ricoprono le più alte cariche dello Stato, si stanno prodigando in ogni maniera per rilanciare la memoria dell’ex leader socialista: volano ad Hammamet, organizzano al Senato un’importante commemorazione, e così via.

Lo spazio riservato sui media a queste vicende, il grande rilievo pubblico cui riescono a giungere personalità di questo tipo, la memoria molto corta degli italiani, alcuni riconoscimenti da parte dell’opposizione: tutti questi elementi mescolati insieme, sembra stiano addirittura riuscendo nel miracolo di far passare come credibile il messaggio della riabilitazione.

L’elemento più particolare di questa ondata, è che nessuno ha mai tentato di dire: Craxi era innocente, una vittima di un enorme errore giudiziario. Quello che si sta tentando di dire, è ben diverso, ed ancora più preoccupante. Abbiamo sentito il presidente del Senato, Schifani, affermare che Craxi è stata la vittima sacrificale, l’uomo più colpito di un intero sistema che andava in una direzione particolare (Minzolini l’ha definita una democrazia costosa). Abbiamo anche sentito dire che Craxi ha pagato le sue vedute innovative ed è stato colpito da una giustizia deviata, ovvero da magistrati politicizzati. Non abbiamo invece sentito nessuno dire: Craxi ha sbagliato e doveva pagare, così come dovevano pagare tutti gli altri che hanno sbagliato. A ben interpretare le parole che stiamo sentendo questi giorni, il messaggio che si vuol far passare è molto semplice e molto italiano. E anche molto preoccupante: tutti colpevoli, tutti innocenti.

Il tentativo di riabilitare Craxi, trova ancora più vigore perché questi sono giorni importanti per Berlusconi, il quale da mesi vive sul piano giudiziario il suo periodo più complicato, accentuando notevolmente i parallelismi con l’amico di un tempo. Al Senato si sta difatti discutendo sul processo breve, in grado di risolvere molti grattacapi al nostro premier, nonché di molti colletti bianchi del nostro paese. Gli attacchi alla magistratura politicizzata si moltiplicano. La riabilitazione del deputato dell’Udc, Mannino, scagionato ieri dopo 18 anni di travagliate vicende giudiziarie, sembra cadere a pennello.

Io credo che nessuno in Italia, se non i colpevoli, sia contento dei tempi della giustizia, i troppi anni che intercorrono prima di giungere a verdetti certi. Tutti vorremmo che i processi si risolvessero nel minor tempo possibile. Ma non si può realizzare il processo breve se non vi sono le possibilità materiali che la giustizia possa svolgere con celerità il proprio compito. Occorrono prima riforme che alleggeriscano i tempi e che rendano possibile, sul piano pratico, giungere velocemente a una giustizia certa. Questo però non in nome di Berlusconi, ma di tutti gli italiani. Se queste precondizioni non esistono, il processo breve è solo un modo per lasciare impuniti i colpevoli. Il che è solo un danno aggiuntivo in un Paese dagli enormi problemi.

Le commemorazioni di Craxi e la vicenda del processo breve, non possono non condurre a una riflessione sulla responsabilità della politica. La responsabilità degli uomini politici non sta nel risolvere i problemi personali di chi guida il Paese. La responsabilità sta nel rafforzare lo Stato, renderlo solido e condurre la nazione verso un progresso reale. A prescindere dalle diversità delle opinioni, ogni nostro dirigente deve avere come obiettivo il bene dell’Italia. Come Bersani ha giustamente ricordato ieri sera a Ballarò, mentre negli altri Paesi europei si discute di come uscire dalla crisi, di come rilanciare l’economia, di come applicare l’economia verde e così via, il Parlamento italiano sta invece diventando una succursale dell’ufficio di difesa di Berlusconi.

Uno dei personaggi più importanti della Commedia di Dante è Farinata degli Uberti. Benché Dante appartenesse a una fazione politica avversa a quella di Farinata, rispetta il proprio avversario e ne riconosce i meriti perché, a dispetto della differente visione politica, il suo impegno, al pari di quello di Dante stesso, era tutto rivolto al bene di Firenze.

Questa responsabilità della politica è quella che manca oggi in Italia. I problemi di un uomo solo diventano affare di Stato, l’agenda legislativa è programmata solamente in questa direzione. La possibilità di una discussione seria fra maggioranza e opposizione, unica via a un rilancio unitario del Paese (a tal proposito non possiamo non pensare con nostalgia a uomini come Berlinguer e Moro), è interrotta sul nascere dall’urgenza dei problemi di Berlusconi.

L’anomalia italiana non è una classe giudiziaria politicizzata, ma la visione privatistica della cosa pubblica, caso unico nel cosidetto Occidente. Sono mesi che siamo subissati dai problemi di Berlusconi; lo stesso Berlusconi è preda dei ricatti di un partito xenofobo come quello della Lega Nord; un partito come quello di Di Pietro è in grado di raccogliere un ampio consenso col solo attacco al premier; l’azione parlamentare è resa evanescente dai colpi di mano dei decreti legge; una legge elettorale vergognosa fa sì che pochi uomini decidano come guidare un paese. Intanto il Paese crolla sotto i colpi della crisi, il debito pubblico raggiunge livelli mai visti, la corruzione dilaga, le istituzioni di garanzia vengono deleggitimate, l’istruzione pubblica compie un’involuzione nefasta, la sanità è in mano a rampanti Tarantini, la criminalità organizzata, in assenza di uno Stato forte, si ramifica nella società. E la responsabilità degli uomini politici si nasconde dietro i problemi di un uomo solo.

La politica è l’elemento cardine di uno Stato. Il qualunquismo e l’apoliticità i mali peggiori. La classe politica che guida oggi il Paese, in nome di una maggioranza relativa degli italiani, è fra le più irresponsabili che abbiamo mai avuto.

Diego Gavini

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“Il 15 maggio 1796 il generale Bonaparte entrò in Milano a capo di quella giovane armata che aveva varcato il ponte di Lodi e annunciato al mondo che dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avevano un successore”

Nel 1838, giunto all’età di 55 anni,Stendhal, pseudonimo sotto cui si cela Henry Beyle, autore del “Rosso e il nero”, ritorna a Parigi dopo diversi anni trascorsi a Civitavecchia come console. Il 4 novembre inizia a scrivere quello che nei suoi progetti dovrebbe essere solo un semplice romanzetto ispirato alla storia di papa Paolo III, ovvero Alessandro Farnese. In appena 52 giorni scrive invece la Certosa di Parma, uno dei miracoli più riusciti nella storia della letteratura, e la voglia di vivere, la rapidità e il caos dell’ispirazione, si traducono in un romanzo dalla freschezza inimitabile.

Nella Certosa, storia di un quadrato d’amore e di una corte simbolo di dispotismo (ambientato a Parma, parla in realtà di Milano), romanzo storico che viola le regole del genere (straordinario il modo tutto nuovo in cui si descrive la battaglia di Waterloo), vi sono tutti i topoi di Stendhal: un protagonista ingenuo, bellissimo, giovane e amato dalle donne; la contrapposizione fra la meschinità maschile e la sensibilità femminile; l’idea di ipocrisia come unica maschera per proteggere la propria purezza; la critica della religiosità bigotta; la disarmante capacità di smascherare le falsità; l’alto come unico luogo in cui è possibile elevarsi dalla grettezza umana e compiere pensieri elevati; la prigione, tanto odiata ma che infine si rivela unica via d’uscita per togliersi la maschera dell’ipocrisia e realizzare la propria natura; l’amore visto come una continua battaglia; l’età napoleonica, simbolo di giovinezza e speranza, con i suoi vizi e le sue virtù contrapposti al grigiore della Restaurazione; l’amore per l’Italia, paese del bello e della passione.

In apparenza la Certosa è un semplice romanzo d’appendice. La storia dei quattro protagonisti, Fabrizio, Clelia, Gina, il Conte Mosca, è condita da episodi ridondanti, eccessivi, fastidiosi quasi come quelli di una telenovela. Sotto la superficie, sono invece la letteratura e la vita ad esplodere.

La Certosa è infatti un romanzo che ci parla della letteratura, il piacere di raccontare che non ha necessariamente bisogno di dire la cosa giusta (restano famosi gli errori voluti da Stendhal), ma deve dire: non si può porre il freno alla vitalistica necessità di raccontarci, di parlare dei nostri Eden, ovvero i paradisi perduti della felicità. In questo, lo scrittore francese resterà maestro inimitato. Resterà inimitato anche nella capacità di elevare un romanzo dai tratti d’appendice a capolavoro, grazie a tutta l’abilità del proprio stile. 

Ma più di tutto, la Certosa ci parla della vita. E sentiamo che a parlarcene è un uomo ormai vecchio, che sente tutta l’urgenza di cogliere l’attimo per raccontare tutto quello che ha da dire (morirà infatti cinque anni dopo la redazione del romanzo). Si è accennato all’abbondanza di episodi: cos’è infatti la vita se non abbondanza di eventi e di cose che ci succedono? In altre parole, cos’è la vita se non avventura? E la vita è anche squilibrio. La Certosa è basata su uno squilibrio strutturale, e non poteva essere altrimenti. Gli episodi della nostra vita, infatti, si dilatano e si ristringono in base a quanto  contano per noi.

Ma soprattutto, la vita è, per dirla come Schopenauer, una tragedia nel suo insieme, ma comica nei suoi singoli aspetti. Questo misto di tragico e comico che finisce per sfociare nel grottesco, è il vero leitmotiv del romanzo. Stendhal ci racconta una storia di un enorme fallimento e di una tragica disillusione, ma in ogni pagina c’è tutta la consapevolezza di quanto, a vedere bene, sono comiche le piccole cose che ci succedono. E qui c’è tutta la grandezza, dello scrittore in grado di dosare il ritmo, di far scemare il tragico nel comico e poi ancora nel grottesco, tenendo sempre alta la tensione, senza mai risultare ripetitivo, evitando il rischio di perdersi in eccessi di negatività e positività.

Alla fine del romanzo, dopo che siamo stati subissati di episodi che si accavallano senza tregua, anche eccessivi nella loro lunghezza, in poche pagine si consumano le vicende dei nostri protagonisti, a sintetizzare quello squilibrio di cui si è già accennato. Sconfitto dalla vita, Fabrizio si ritirerà nella Certosa di Parma, dove si abbandonerà ad una morte che sarà naturale nei modi, ma voluta come un suicidio. La Certosa è un luogo immaginario (e non reale come comunemente si crede) che vuole essere la metafora del destino di ognuno di noi. Vi sarà infatti, alla fine del nostro percorso, una Certosa per tutti quanti, in cui rinchiudersi, ormai disillusi, dopo l’avventura della nostra vita.

Diego Gavini

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