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Posts Tagged ‘fini’

 

In questi giorni stiamo assistendo ad una campagna mediatica di primo ordine portata avanti dai giornali della destra contro Fini. Non voglio entrare nel merito delle accuse rivolte all’ormai nemico di Berlusconi, né attaccarlo né difenderlo. In questo caso quello che è più importante notare è un altro fattore, ovvero l’ennesima dimostrazione del bassissimo livello dell’informazione in Italia.

A mio avviso un riscontro importante per verificare il grado di democrazia in un paese è il livello qualitativo del mondo dell’informazione. Le campagne portate periodicamente avanti da giornali come “Il giornale” e “Libero”, dimostrano come sia bassa la qualità dell’informazione e quindi della democrazia.

La campagna anti-Fini cosa ci dimostra infatti? Un buon giornalismo? La capacità di rintracciare una notizia scottante e portare avanti una battaglia? No, direi proprio di no. Quello che è evidente è piuttosto la capacità di strumentalizzare una notizia ai propri fini. Una strumentalizzazione che risulta limpida da una veloce analisi dei fatti.

Il fatto principale è ovviamente la notizia della casa di Montecarlo. Ma è uno scoop? Credo proprio di no. La notizia è uscita non a caso appena il presidente della Camera è stato espulso dal Pdl e ha dato vita al proprio gruppo parlamentare. Una coincidenza temporale inquietante, che non può non ricordare i tanti “avvertimenti” mandati da Feltri a Fini nel corso di questi ultimi due anni.

Io mi chiedo: se ora il caso dell’appartamento di Tulliani fa tanto scalpore, perché “Il giornale” o “Libero” non hanno fatto uscire la notizia a tempo debito, quando ne sono venuti a conoscenza? La risposta è semplice: le notizie vanno utilizzate solo per attaccare politicamente i nemici. Se a questo aggiungiamo il fatto che è impossibile pensare che Silvio Berlusconi non detti la linea de Il Giornale ci troviamo di fronte a un quadro in cui i mezzi di informazione abdicano completamente dal proprio ruolo, per assumerne un altro: quello di far uscire “dossier” scottanti da usare a favore dei propri amici, quello di portare avanti discriminazioni mediatiche a favore di altri (chi è che non ricorda il caso Boffo?). Per non dire poi della mancanza di coerenza delle proprie affermazioni: ora si attacca Fini perché “non poteva non sapere”. Berlusconi è stato invece sempre difeso dai giornali a lui vicini proprio invalidando questa teoria. Perché quello che vale per Fini non vale per Berlusconi? Per un semplice motivo, ovvero che non si compie il proprio lavoro con onestà intellettuale, ma ci si comporta da “clienti”.

In un paese in cui la gran parte dei mezzi di comunicazione è nelle mani di un uomo solo tale fenomeno acquista tratti ancora più preoccupanti, perché significa che le notizie non vengono date per quello che sono: vengono monopolizzate, nascoste in qualche fascicolo e poi tirate fuori quando si deve attaccare qualcuno.

Ripeto, la mia preoccupazione non è assolutamente difendere Fini. La mia preoccupazione è che nuovamente constatiamo come  in questo paese la democrazia che deriva dall’informazione è morta.

Diego Gavini

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Cercare di capire come andrà a finire questa crisi interna alla maggioranza e quali ne saranno le conseguenze è una previsione che rimane molto oscura. Quel che è più facile capire è quello che si può volere da questa crisi, gli scenari più graditi; così, almeno per fare delle ipotesi.

Evidentemente andare avanti con questo governo è quanto di più deleterio sia immaginabile. Già ha fatto quanto di peggio ha potuto, ora, con un Berlusconi sempre più ostaggio della Lega, rischieremmo veramente il tracollo.

Ma le elezioni anticipate sono auspicabili? A mio avviso no. Bisogna infatti essere realisti. Avere un nuovo governo fragile, anche se di centro-sinistra, sarebbe un altro duro colpo per il paese (e anche per la sinistra). Perché parlo di governo fragile? Per una serie di ragioni. In primo luogo non è detto che l’accoppiata Berlusconi-Bossi non abbia chance in una nuova tornata elettorale, ed una loro nuova affermazione getterebbe l’Italia nell’abisso; inoltre, se anche i due dovessero perdere, non credo che perderebbero con un grande distacco percentuale, e abbiamo già visto quanto sia costata al secondo Prodi una vittoria risicatissima. In secondo luogo, anche nel caso in cui B&B non avessero i numeri per vincere, chi al momento attuale è pronto per l’alternativa? Non parlo qui di un’inadeguatezza dei partiti di sinistra, ovviamente. Parlo del fatto che i contorni della coalizione che deve sostituire il centro-destra non sono affatto delineati. Casini è dentro o fuori? Chi fa il premier, Bersani, Vendola o qualcun altro? Qual è il ruolo di Rifondazione comunista? Qual è il programma comune dell’attuale opposizione? Mettersi insieme e poi non sapere come governare non è certamente una prospettiva positiva. E in questi giorni si vede un’effettiva fretta. Di Pietro vuole il voto immediato. Vendola vuole il voto immediato. Entrambi però dimostrano una visione più egoistica che costruttiva, a mio avviso. Di Pietro vuole il voto perché sa che in questo momento come minimo raddoppierebbe i propri numeri (ricordiamoci che l’Idv alle elezioni politiche prese circa il 4%, oggi può puntare quasi alla doppia cifra). Vendola, dall’altro lato, vuole il voto per portare il suo partito in parlamento.

Detto questo, non vogliono dire che in Italia non ci sia la massima urgenza di un governo di centro-sinistra e di mettere finalmente Berlusconi ai margini della politica. Ma questa transizione ha bisogno di un minimo di tempo. C’è bisogno di un governo di transizione che modifichi la legge elettorale, che prenda due-tre provvedimenti importanti per la crisi, che metta in un angolo le discussioni sul ddl intercettazioni e qualcun’altro parimenti negativo come quello sull’università. In questo lasso temporale del governo di transizione il centro-sinistra avrà la possibilità, ma soprattutto l’obbligo, di costruire un vero progetto di alternativa.

Costruire una piattaforma seria, superando l’ingenuità di pensare che col voto immediato si risolve tutto, è un atto di responsabilità doveroso. Solo dopo questo atto sarà possibile finalmente mettere la parola fine alla triste pagina della dinastia berlusconiana.

Diego Gavini

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A tutti quanti un po’ mancavano gli editoriali di un Minzolini ultimamente un po’ sottotono. Ma di fronte alla crisi interna del Pdl (peraltro prima dell’esplusione di Fini) il ritorno del fedele scudiero del cavaliere non poteva farsi attendere. E il nuovo Fede continua a non deludere, nel suo editoriale c’è un po’ di tutto: difesa a spada tratta del governo, solito attacco alla giustizia, il beneplacito per l’attacco a Fini… In pratica, l’informazione sempre il solito “stile Minzolini”!

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Continuiamo ad assistere in questi giorni ai piccoli litigi nella maggioranza. L’ultimo siparietto ci è proposto ancora una volta da Fini e Bossi, fra l’ex aennino che dopo 15 anni di alleanza con il leader del carroccio si sveglia è dice “la Padania non esiste” e il prode Umberto che scalda l’animo della razza padana “10 milioni di persone combattono per la Padania”.

Se non fosse che si tratta di due alti rappresentanti di governo ci sarebbe da ridere. Ma purtroppo di un ministro della repubblica italiana e del presidente della camera si tratta.

Se questa querelle si fosse aperta a sinistra, i giornali uscirebbero con edizioni straordinarie urlando: “è la solita sinistra divisa su tutto”. Invece niente di tutto questo.

Eppure il fatto è preoccupante, per un semplice motivo: è l’ennesima dimostrazione di come, attraverso i siparietti, questa destra è al governo. Il siparietto di riuscire a dire tutto e il contrario di tutto, in modo da mettere tutti d’accordo, come quando Berlusconi esaltava il precariato e poi Tremonti tesseva le lodi del posto fisso.

La situazione è infatti paradossale. Nella maggioranza ritroviamo l’amore per il suolo natio di un nazionalista come Fini, un secessionista come Bossi e, cosa che pochi ricordano, il movimento per l’autonomia, ovvero il partito per l’autonomia della Sicilia di Raffaele Lombardo. In pratica così si riescono a raccattare i voti di chi darebbe il sangue per l’Italia, chi per la Padania e chi per la Sicilia. Sopra a tutti Berlusconi gode: di Padania, Italia e Sicilia a lui poco interessa, basta che può fare il primo ministro, poi basta che alleati, giudici e giornalisti non lo disturbino tanto.

Ma vorrei ricordare una cosa agli elettori del centrodestra. Vorrei ricordare ai finiani che mettere una croce sul Pdl significa dare un voto a Bossi; vorrei ricordare ai “padani” che mettere una croce sulla Lega significa dare un voto a chi vuole fare gli interessi della Sicilia e basta. Fatevi un favore: aprite il vocabolario e cercate la parola “coerenza”. Vi si potrebbe aprire un mondo.

Diego Gavini

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La rivista online “Farefuturo” torna a far parlare di sé con una serie di articoli contro la Lega Nord. Fondazione che ha come presidente Gianfranco Fini, si è messa molte volte in risalto negli ultimi mesi per le sue prese di posizioni contro la politica del Pdl o degli alleati della Lega. In pratica la voce scritta di Fini, di cui abbiamo parlato anche in questo blog. Spesso Farefuturo ha assunto posizioni in parte condivisibili, ma in questa sua crociata pro-Fini, ha questa volta preso una toppa clamorosa, che ci ricorda ancora una volta i limiti “dell’azione” dello stesso presidente della camera: in pratica l’essere fornito di memoria molto breve.

Gli articoli a cui mi riferisco sono del direttore della rivista on-line, Filippo Rossi, intitolati: “Ma se la Lega cambiasse l’articolo 1 del suo statuto?” e “Qualche domanda alla Lega, così, tanto per capire…”. Articoli in cui Rossi afferma tutte cose sacrosante. Ad esempio denuncia il primo articolo dello statuto della Lega che recita: “la Padania attraverso metodi democratici ha la finalità di ottenere il riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”. In pratica la famosa secessione che poco ha a che vedere col giuramento davanti alla Costituzione dei vari ministri leghisti.

Rossi coglie nel segno anche quando afferma che ai leghisti piace sempre fare un po’ di casino parlando di Padania libera e via dicendo, per poi sedere molto a loro agio a Roma e, alla secessione, non è che ci pensano poi così tanto.

Sottoscrivo ogni parola del direttore di Farefuturo, ma voglio fargli qualche domanda. Si è reso conto che lo statuto della Lega è lo stesso da anni e che non è cambiato ieri? Soprattutto: lo conosceva lo statuto della Lega quando è andato a votare per il Pdl, alleato della Lega? Lo stesso Fini, che ora se la prende tanto per la deriva leghista, si rende conto che è alleato della Lega da anni?

Credo che nella vita serva onestà intellettuale. Sbagliare è umano, e sono d’accordo. Ma rendersi conto degli errori è possibile: meglio tardi che mai, come si dice. Se Fini si è finalmente reso conto di che partito è la Lega, perché non dice “io con questi non ci governo più” e lancia un ultimatum: “o io o loro”. Sia coerente con quel che dice, solo a quel punto sarà credibile.

Diego Gavini

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A quanto pare la redazione di “Chi l’ha visto?” sta preparando una puntata speciale su Gianfranco Fini e Italo Bocchino. Famigliari e colleghi di partito sono infatti preoccupati: sono giorni che non ne hanno più notizia. Come non dargli torto. Da giorni sono usciti tristemente di scena, dopo che per settimane avevano tenuto il Pdl e il paese col fiato sospeso.

Tutti che si domandavano: e ora che succederà? Fini fa un partito suo o va con Casini? Il governo cade? Già, perché stavamo assistendo a qualcosa di realmente inusuale: qualcuno si stava ribellando al padrone. Non era chiaro se lo faceva per tornaconto personale o se per un reale spirito civico, nel “sogno” di costruire una destra moderna. Ma lo faceva. E ne stavamo vedendo di tutti i colori. C’erano ad esempio Fini e Berlusconi che si massacravano in diretta tv alla direzione del Pdl. Oppure c’era Bocchino che si dimetteva da vice capogruppo alla camera e denunciava: “mi hanno epurato”. E poi c’erano le trasmissioni televisive che dovevano per forza invitare due ospiti del Pdl, un finiano e un berlusconiano, come se ormai fossero due partiti diversi. E c’era anche la blasfemia, con Fini che arrivava a dire che l’inno rivolto a sua maestà, “meno male che Silvio c’è”, non è che gli piacesse tanto, anzi. E c’era addirittura il Pd che rischiava di spaccarsi: bisognava mettersi d’accordo con Fini o non dargli credito?

Per giorni e giorni si andava avanti così. La sera accendevamo la tv e ci chiedevamo: chissà che hanno combinato oggi Fini e Berlusconi. Già, perché ormai Fini faceva opposizione a tutto spiano al premier. Non gli andava bene la gestione del partito, non gli piaceva la sudditanza nei confronti della Lega, diceva che la politica del governo non rispettava le promesse. Non c’era più niente su cui il vecchio camerata Gianfranco non facesse sentire la sua voce. Faceva quasi più opposizione lui del Pd e di Di Pietro. E tutti a pensare: “alla fine ce l’ha fatta pure lui a svegliarsi e a vedere con chi si è messo da quindici anni”.

E poi, da un momento a un altro, mentre tutti attendevamo la bomba definitiva…silenzio. Fini e il suo fedele Bocchino, sono scomparsi. Di loro, non si è più sentito parlare. Tutte le richieste di migliorare la gestione del partito e la guida della nazione, sparite nel nulla. Quello che ora c’è domandarsi è molto semplice. Si è trattato di una ritirata dopo che hanno ottenuto qualche regalino, oppure se la sono data a gambe dopo che si sono accorti di essere rimasti soli?

Chi ha informazioni a riguardo si faccia avanti.

Diego Gavini

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Continua lo scontro intestino nel Pdl che continua a falcidiare l’azione del partito di Berlusconi. Bocchino, l’uomo più vicino a Fini, si dimette da vicario del gruppo del Pdl alla Camera. Obiettivo è quello di far dimettere Cicchitto ed indire nuove elezioni interne. Bocchino afferma infatti che la sua posizione e quella del capogruppo sono collegate: se va via lui, decade anche il mandato del capogruppo (ma a tal proposito è già arrivato un comunicato stampa del Pdl che smentisce questa versione, affermando che solo nel caso contrario, ovvero in presenza di dimissioni del capogruppo, le due cariche sono collegate).

A cosa punta Bocchino? Ad una conta interna. Il fedele finiano, ha infatti già chiarito, nella lettera di dimissioni presentata a Cicchitto, di volersi candidare come nuovo leader dei parlamentari pidiellini. Ovviamente sa bene di non avere i numeri per aspirare a tale ruolo, ma a tal proposito è molto chiaro. Scrive infatti Bocchino all’attuale capogruppo: ” ho il dovere di comunicarti che all’assemblea del gruppo presenterò la mia candidatura a presidente contrapposta alla tua o a quella di altri. Ciò non per distanza politica o personale da te, ma per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo, di verificare le sue forze e conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso”.

Questa vicenda dimostra che, dopo il clamoroso scontro fra Berlusconi e Fini alla direzione nazionale, il contrasto interno è ben lungi dal risolversi. Una prima conta dei finiani è già andata male, considerando i pochissimi che non hanno firmato il documento redatto al termine della direzione del Pdl; ora si punta ad una nuova conta fra i deputati, per verificare le reali forze di Fini.

La mia opinione è che questo scontro sia destinato a sancire la sconfitta di Fini più che a far cadere il governo o piuttosto a far cambiare la linea della politica di Berlusconi. L’ex leader di An, tradito dai suoi ex-colonelli, sembra infatti godere di uno scarsissimo appoggio interno.

Questo, presumibilmente, non può che provocare due conseguenze. La prima è la possibilità di una emarginazione politica di Fini che ha aperto una faida ma non ha i numeri per supportarla. Dal momento che la sua area non mette a rischio la tenuta di Berlusconi, il presidente della Camera o, ritorna sui suoi passi con un clamoroso mea culpa (il che a questo punto appare improbabile), o va incontro ad una vendetta del Cavaliere, appunto con un’esclusione di Fini. La seconda conseguenza (peraltro molto più pronosticabile) è l’ascesa sempre più irresistibile della Lega: un Pdl più debole, coincide infatti con una Lega più forte. Dal momento che già abbiamo visto cosa è in grado di fare il partito di Bossi con qualche voto in più in mano, non oso neanche immaginare cosa farà quando il suo apporto più che fondamentale apparirà imprescindibile.

Fuori da queste previsioni, rimangono scenari solo molto nebulosi. Uno potrebbe essere una fuoriuscita di Fini dal Pdl con la creazione di un partito al 4-5% che si allei magari con l’Udc e che forse dia vita ad una sorta di governo tecnico col Pd allo scopo di cambiare la legge elettorale e tagliare le gambe di Berlusconi. Ma, appunto, qua siamo molto sul nebuloso.

Diego Gavini 

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Appare sempre più inevitabile la rottura fra Berlusconi e Fini. Il pranzo di ieri tra i due, che doveva sancire la riconciliazione, si è risolto in minacce da entrambe le parti. Fini ha avvertito il Cavaliere: “se non si farà come dico, sono pronto a creare gruppi autonomi all’interno delle camere” (inoltre è già pronto il nome: Pdl-Italia). Berlusconi gli ha replicato: “se è così, devi lasciare la presidenza della Camera”.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata, come c’era da aspettarsi (e come avevamo già scritto), la vittoria della Lega alle regionali rispetto al Pdl. Per Berlusconi infatti, come ha sottolineato Rosy Bindi, si è trattato di una vittoria di Pirro. Il Pdl è ormai succube di Bossi. Non ha mancato di sottolinearlo Bocchino (ha dichiarato alla Repubblica: “la coalizione al Nord è nettamente a trazione leghista”) e non mancano di sottolinearlo i fatti: i leghisti ora vogliono tutto. Vogliono fare le riforme istituzionali (fra le altre cose Fini non ha affatto gradito la bozza presentata da Calderoli al Colle in maniera del tutto autonoma), vogliono le poltrone (dopo il Piemonte e il Veneto il prossimo obiettivo è Milano), vogliono le banche del Nord.

Si sa che questa avanzata della Lega non è mai piaciuta a Fini. Gli ultimi fatti lo hanno portato al passo decisivo di minacciare un gruppo autonomo. Secondo il presidente della Camera infatti, il problema è tutto interno al Pdl e alla gestione di Berlusconi. Un Pdl che non è mai stato un partito organizzato, ma un semplice cartello elettorale, in cui gli organismi dirigenti non contano nulla, perché tanto decide il monarca Berlusconi (sempre Bocchino afferma: “un partito in cui non si è mai riunita la direzione nazionale”). Per Fini il problema è dunque politico: senza un partito degno di tale nome, la deriva leghista è inevitabile. Il cofondatore del Pdl sa però che questi ragionamenti non toccano molto Berlusconi: al premier basta vincere e gli è sufficiente avere la maggioranza al Parlamento e nelle Regioni. Se questo significa un maggior peso di Bossi, a lui non interessa nulla. La gestione di un partito poi ancor di meno: tanto i problemi si risolvono coi decreti legge  che impediscono la discussione all’interno dello stesso Pdl. Se poi Fini se ne va, meglio ancora: Berlusconi ha già fatto i calcoli, i numeri finiani non inciderebbero sulla tenuta delle Camere.

Quali sono ora gli scenari che si aprono? Schifani (scavalcando nuovamente le prerogative del capo dello Stato) ha già annunciato: “se c’è rottura si va alle elezioni”. Ma ovviamente le elezioni anticipate sono solo l’ultima spiaggia e non credo che nessuno, compreso la sinistra, abbia intenzione di arrivarci. In primis lo stesso Fini, che vuole solamente far sentire il proprio peso e costruire la sua futura guida della destra: e ora è troppo presto. Non le vuole neanche Berlusconi: magari vincerebbe, ma si troverebbe con una maggioranza più ristretta e con una Lega troppo forte, anche più di quanto può sopportare lo stesso premier. Anzi, se c’è qualcuno che magari vorrebbe andare alle elezioni anticipate è proprio Bossi che sa quanto potrebbe raccogliere ora il suo partito. Non credo che le elezioni anticipate siano molto gradite anche a Bersani, impegnato in una difficile costruzione di un campo largo di alleanze, costruzione che ha ancora bisogno di tempo; altro obiettivo del segretario del Pd è poi sicuramente cambiare la legge elettorale: andare a votare oggi, con questa legge e senza un’adeguata rete di alleanze, significherebbe una sconfitta troppo traumatica per il Pd.

Ciò che si può prevedere oggi è semplicemente un Berlusconi pronto a preparare uno specchietto per le allodole: fare qualche concessione al suo scomodo alleato e tenerlo buono il più a lungo possibile. Bisogna vedere come reagirà a questo giochetto Fini. E, dall’altro campo, vedere come il centro-sinistra riesca a compattarsi nei tempi più brevi possibili per saper cogliere ogni più piccolo spiraglio.

Diego Gavini

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Sentori di autoritarismo nelle parole di Berlusconi. Da Parigi (forse ispirato dalla presenza di Sarkozy) rilancia: mi piace un semipresidenzialismo alla francese, ma senza il doppio turno. In pratica senza cambiare la legge elettorale. Aggiunge Berlusconi: i nostri padri costituenti, dopo 20 anni di fascismo, hanno voluto evitarne il ritorno, ma per farlo si sono spinti troppo avanti ed hanno dato troppo potere al parlamento e troppo poco al governo.

Ovviamente Berlusconi del Parlamento, ovvero la forma della democrazia partecipata, non sa che farsene. Più il potere è concentrato nelle mani di un uomo solo, più lui è contento. Infatti già vediamo come nella prassi politica Berlusconi sta facendo di tutto per svuotare il Parlamento: decreti legge per ogni cosa, deputati e senatori scelti con le liste bloccate, senza dover ricorrere alle preferenza della gente.

Il semipresidenzialismo gli andrebbe ovviamente a genio. Ma non come lo fanno i francesi. In Francia infatti i colleggi sono uninominali. E’ quindi rischioso per chi vuole solo i parlamentari di cui ha bisogno, perché c’è sempre il rischio che Tizio perda contro Caio e non entri nelle Camere. Il sistema uninominale permette un rafforzamento dei grandi partiti rispetto a quelli piccoli, ma non permette la sicurezza di avere i nomi che vuole il capo. Quindi, semipresidenzialismo alla francese sì, ma con qualche tocco di italianità, altrimenti non va bene. Non a caso Fini, che pur ama questo modello, nella sua lotta interna al premier pone su questo punto il suo veto e dice che bisogna cambiare anche la legge elettorale.

Personalmente non amo le forme di presidenzialismo o semipresidenzialismo. Meno il potere si concentra nelle mani di una persona, meglio è. Almeno secondo me. Mi chiedo poi cosa potrebbe succedere in un paese come l’Italia, già di per sé molto populista (non dimentichiamo che siamo noi ad aver inventato il fascismo). Mi chiedo poi cosa potrebbe accadere se quell’uomo al potere fosse Berlusconi, che già oggi va avanti dicendo: la gente mi ha votato, quindi tutto mi è lecito. Inoltre, non fa mai male ricordarlo, Berlusconi è già l’uomo più potente del paese: capo del governo, uomo fra i più ricchi d’Italia, proprietario di quasi tutto il mondo dell’informazione oltre che di centinaia di aziende. Già oggi rappresenta un’anomalia eccessiva. Cosa succederebbe se i suoi poteri aumentassero costituzionalmente?

Diego Gavini

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Farefuturo, fondazione pidiellina ma a espressione del “sentire finiano”, torna, attraverso le pagine della sua rivista, a dare voce all’opposizione interna nel partito. Oggi, oggetto della critica del direttore della rivista on-line, Filippo Rossi, è il sonno che colpisce il Pdl di fronte all’avanzata leghista.

Quel che dice Rossi è sotto gli occhi di tutti: la Lega fa il suo mestiere e lo fa bene. Cresce esponenzialmente e non si accontenta più. Farefuturo cita Maroni: “noi siamo il vero motore”. E’ questa una Lega che non solo comincia a mangiare poltrone, ma che vuole essere in primo piano nelle riforme istituzionali che sembrano sempre più prossime. Non parla più solo di federalismo, ma anche di presidenzialismo e giustizia. Sintetizza Rossi, che la Lega vuole diventare il timoniere del governo.

Ed è qui che parte la critica del direttore di Farefuturo al Pdl, al sonno che gli fa perdere la cognizione dell’evolversi politico. Sappiamo tutti quanti come Fini non ami la Lega, così Farefuturo ribadisce le linee generali del non detto del presidente della Camera: il partito di Bossi è un alleato, e soprattutto occorre ricordare che è un alleato minore. Non deve essere Bossi a dettare l’agenda del governo. E il Pdl non può addormentarsi, perché gli obiettivi non sempre coincidono. In linea teorica, le piattaforme programmatiche dei due partiti dovrebbero essere diverse. Ma il Pdl, sempre secondo Farefuturo (ed anche secondo noi), si sta facendo divorare lentamente ‘”dall’alleato”. Chiude infatti così Rossi: “il silenzio inizia a essere insostenibile. È tempo che il Popolo della libertà batta un colpo. Per non morire tutti leghisti“.

Qualche giorno prima delle elezioni, avevo affermato su questo blog, che se il Pdl avesse perso terreno di fronte alla Lega, questa non si sarebbe fatta scappare l’occasione per far sentire il suo peso ancora di più. E Fini avrebbe accentuato la sua linea di opposizione interna. Sarà un caso, ma pochi giorni dopo le elezioni, e Farefuturo è tornata a farsi sentire. Sarà un caso.

Diego Gavini

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