Giornata estremamente convulsa quella di ieri, che ha visto tutto il giorno il governo lavorare per l’ormai celeberrimo decreto salvaliste, unica via per salvare la candidatura di Formigoni e la lista del Pdl nel Lazio, senza dover rimandare le elezioni regionali. Il decreto, stilato senza ovviamente il minimo tentativo di trovare una mediazione con l’opposizione, è stato completato in serata. Prima di mezzanotte è arrivata la firma di Napolitano, da due giorni in contatto continuo con Berlusconi.
Oggi, sin dalle prime ore della mattina, si è scatenata la polemica. Mentre il Pdl tentava di arrampicarsi sugli specchi, addirittura contrattaccando, l’opposizione è insorta. La Bonino ha definito il decreto incostituzionale, Casini ha dichiarato che il decreto dimostra che le regole valgono solo per i deboli, il Pd ha annunciato una mobilitazione di piazza a partire da oggi a Milano terminando sabato prossimo a Roma. Bersani ha infatti definito la manovra un vero e proprio trucco.
Ma torniamo al decreto. Era difficile realizzare qualcosa che cancellasse le regole con tale perfezione, ma il governo c’è riuscito. L’hanno chiamato (vedi l’importanza delle parole) “decreto intepretativo”, realizzato per “aiutare il Tar ad applicare la legge serenamente e in modo corretto” (parole di Maroni). Più propriamente è stato chiamato decreto salvaliste. Noi, non possiamo esimerci dal ribattezzarlo decreto salvachiappe.
Ecco i punti salienti. Il primo è che, per garantire l’elettorato passivo e quello attivo, è più importante la sostanza sulla forma (in pratica le regole sono inutili ostacoli burocratici). Il secondo punto concede di sanare eventuali irregolarità entro le ventiquattro ore successive alla scadenza dei termini di presentazione della documentazione e, soprattutto, che alcune formalità (nel caso di Formigoni una non leggibilità del timbro) non possono costituire un intralcio. Il terzo punto (ed arriviamo qui al salvachiappe del Pdl nel Lazio), che decisamente suscita un misto di pianto e risa, è che non occorre consegnare il materiale entro la scadenza prevista, ma basta trovarsi all’interno dell’edificio in cui tale documentazione va consegnata: decisamente una “interpretazone impeccabile” della legge. Quarto punto, necessario a completare il quadro, è che il conto alla rovescia delle ventiquattro ore di sanatoria, non parte dalla scadenza della presentazione delle liste, ma dalla firma del decreto. Quindi oggi quelli del Pdl hanno 24 ore per affermare che loro, sabato scorso, dentro l’edificio c’erano. Magari hanno dovuto mangiare qualche panino di troppo, ma c’erano. Magari hanno dovuto farsi i giochetti alle loro spalle, cambiando i nomi della lista all’ultimo momento, ma c’erano. E magari, avrebbero dovuto avere il buon senso di dire a tutti: “scusate, abbiamo avuto qualche problemino interno, niente di che, cercavamo solo di farci le scarpe fra di noi e ci siamo dimenticati di consegnare le liste. Non è che, per favore, c’è qualche maniera per rimediare? Giuriamo che non lo facciamo più”. Ma su questo punto, non c’erano.
Per concludere occorre fare un accenno alla maniera in cui è stato tirato in ballo Napolitano, reo, secondo alcuni, di aver firmato il decreto. Il “popolo viola” si è ritrovato davanti al Quirinale per chiedere il perché della firma, e Di Pietro, forse esaltato dall’onda della protesta, è uscito decisamente fuori dal seminato. Già pare aver dimenticato la svolta annunciata al congresso, e ha chiesto di valutare l’impeachment per il Presidente. Dichiarazione che mi lascia decisamente perplesso sul comportamento del leader dell’Italia dei Valori, il quale non si rende conto che così facendo sgretola quella possibilità d’alternativa che Pd e Idv dovrebbero rappresentare insieme. Personalmente anche io avrei voluto che Napolitano non avesse firmato, ma mi pare che non avesse molte vie d’uscita.
Sicuramente ancor più inglorioso di quello di Di Pietro, è l’atteggiamento della maggioranza. Sempre dura con Napolitano, spesso in maniera decisamente inaccettabile (inutile ricordare l’attacco diretto e assolutamente fuori dalle righe che Berlusconi si è permesso dopo la bocciatura del Lodo Alfano), dura fino a ieri quando dalle pagine de Il Giornale lo definiva Ponzio Napolitano, oggi si è espressa in una gara di devozione nei confronti del Presidente della Repubblica. Da Schifani a Capezzone, tutti a dire quanto l’opposizione debba rispettare l’operato di Napolitano.
Certo che un po’ di fosforo a questa maggioranza non farebbe male. Ed anche un pizzico di capacità di vergognarsi.
Diego Gavini
Read Full Post »