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Posts Tagged ‘università’

Fonte: unileftorvergata.wordpress.com

Chi oggi ha sfogliato il Corriere della Sera o ha dato un’occhiata al suo sito, ha potuto leggere un editoriale di Angelo Panebianco sulla riforma universitaria, dal titolo: “L’università dimenticata”. La lettura delle prime righe appare incoraggiante: “Il governo e la sua maggioranza, o ciò che ne resta, accumulano autogol“, scrive Panebianco. Ancora un paio di frasi invece, e si comincia ad essere dubbiosi. Continua infatti l’editoriale: “Adesso, la maggioranza è anche decisa a giocarsi credibilità e aperture di credito faticosamente ottenute, grazie al lavoro dei ministri migliori, presso settori qualificati dell’opinione pubblica.”. E ci si chiede: ma di cosa sta parlando Panebianco? Ed ecco la sorpresa: della riforma universitaria e del suo “probabile affossamento“.

In pratica Panebianco, dopo aver esaltato la Gelmini come uno dei migliori ministri di questo governo (è vero che ci vuole poco ad essere sopra la media, dati i nostri ministri, ma indicare Mariastella come uno dei migliori è già chiaro segno di capire poco di politica) si rammarica del procrastinamento della discussione sul ddl Gelmini alla Camera. Come ci racconta infatti il giornalista del Corriere, con la situazione politica che si è creata, rimandare è un rischio, perché il governo potrebbe cadere da un giorno all’altro. E se cadesse, la riforma finirebbe in un nulla di fatto. Tale evento, che suscita le speranze di ogni studente sano di mente, è invece additato da Panebianco come un grandissimo rischio, perché: “La riforma del ministro Mariastella Gelmini è un ambizioso tentativo di ridare slancio all’istruzione superiore. Non è perfetta. Ci sono anche cose che non convincono. Ma è sicuramente il frutto di uno sforzo encomiabile di affrontare di petto i problemi dell’Università“.

Ovviamente Panebianco non indica quali sono le qualità di questa tanto esaltata riforma. Non spiega come è possibile migliorare l’università mortificando la ricerca, uccidendo la democrazia interna, lasciando mano libera ai rettori di portare chiunque voglia nei consigli di amministrazione. Non spiega come questa riforma, unita ai tagli di Tremonti, possa garantire la libertà e la qualità dell’università pubblica.

Ed è ovvio che Panebianco non spieghi tutto questo. Per il semplice motivo che non può essere spiegato. Qui nessuno difende l’esistente, ma anche un bambino di tre anni è in grado di capire che questa riforma è la pistola puntata al cuore dell’università pubblica. Oltre la demagogia (“Chi la rifiuta in blocco lo fa per faziosità ideologica“, “Molti, però, fra gli universitari, si rendono conto che il provvedimento è indispensabile”) l’editoriale non ci dice quindi niente. Anzi, esalta il “merito della Gelmini e del suo lavoro“, si schiera con ”quei rettori che avevano dato fiducia alla Gelmini“. E, ripeto, lo fa senza spiegare quali siano i meriti della Gelmini, senza dirci che cosa di questa riforma è tanto convincente.

Ma si sa, il 90% dell’informazione oggi non si preoccupa più di spiegare. Dà giudizi di parte, senza neanche preoccuparsi di dare forza alle proprie tesi, gioca a chi la spara più grossa: l’importante è far colpo sul padrone. Minzolini docet.

Pochi mesi fa, in una querelle che ha fatto abbastanza rumore, Eugenio Scalfari disse al direttore del Corriere, Ferruccio De Bortoli, parafrasando Manzoni: “chi non ha coraggio non se lo può dare”. 

Probabilmente questa mancanza è abbastanza comune dalle parti del Corriere, quindi Panebianco non ti preoccupare: sei in buona compagnia.

Diego Gavini 

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Ogni tanto (anzi quasi sempre ad essere sinceri) mi chiedo: ma in che brutto paese viviamo? Quanto è brutto stare in un paese che si specchia e si riflette in tutto ciò che è sintetizzabile come “berlusconismo”? Ovviamente non è solo Berlusconi il problema. Il problema è che sotto Berlusconi stiamo vivendo un sistema che sta finendo di distruggere questo paese. E alla gente piace (come alla gente piaceva Hitler quando lo votava liberamente).

Questo è un paese in cui nessuno scandalo è mai abbastanza grande. Un premier che passa le sue nottate con delle “signorine”, una “cricca” che mangia tutte le risorse statali, un Brancher, un decreto legge che taglia le gambe alla giustizia (giusto per citare qualche goccia in un mare)… niente scuote più la nostra coscienza.

Ma quello che più mi preoccupa non sono questi scandali (i quali già da soli dovrebbero essere sufficienti). Ciò che è ancora più preoccupante è che tutto questo è solo fango in una palude. Mentre questi signori si fanno favori fra di loro depredando lo Stato e schiaffeggiando il buon senso, cosa succede nel resto della palude? Succede che lo Stato nella scuola si rende protagonista di uno dei più grandi licenziamenti nella storia. Succede che università, ricerca e cultura vengono uccise. Succede che Alitalia viene regalata a qualche amico coi soldi degli italiani. Succede che si legittima il più grande ricatto ai lavoratori: Pomigliano d’Arco. Succede che l’ultima manovra è l’ennesima conferma che lo Stato è tutto sulle spalle dei dipendenti invece che su quelle dei ricchi evasori. Succede, notizia degli ultimi giorni, che l’altra grande azienda italiana, la Telecom, licenzierà 3700 dei suoi dipendenti (peraltro la notizia è solo adesso nota perché a lungo è stata tenuta nel silenzio dai grandi organi di informazione: la mobilitazione nella Telecom è già attiva da mesi).

Ecco che succede in Italia. Tra uno scandalo e all’altro si distrugge il lavoro. Si distruggono i diritti dei lavoratori sfruttando l’occasione aperta dalla crisi. Si licenzia come se nulla fosse. In pratica si ammazza un paese per creare un paese diverso, un paese dominato dal precariato e dalla mancanza di diritti. Ecco che succede fra una Noemi e un Cosentino, fra una barzeletta di Berlusconi e un telegiornale di Minzolini.

E soprattutto ecco che succede mentre ognuno continua a farsi i fatti suoi, mentre si continua a votare Berlusconi. Mentre questa “maggioranza silenziosa” sta rintanata a curare il suo orticello; un orticello che comincia a puzzare di marcio.

Diego Gavini

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 Stamattina si è svolta presso l’università di Lettere a Tor Vergata un’assemblea per discutere della riforma Gelmini. Assemblea aperta in cui sono intervenuti professori, ricercatori e studenti, condotta dal preside della facoltà Rino Caputo. Uno dei temi che più ha tenuto banco è stata la minaccia dei ricercatori di non assicurare per il prossimo anno il loro impegno nello svolgimento della didattica. Minaccia più che legale, dal momento che i ricercatori, per contratto, non devono tenere corsi. Poi nella prassi questo non avviene, perché senza il loro supporto un gran numero di corsi non potrebbe essere coperto dai professori.

Di fronte a questa possibilità è intervenuto Giorgio Adamo, presidente del corso del Dams. Adamo ha auspicato che i ricercatori facciano una marcia indietro, affermando che è vero che la riforma così com’è non va bene, ma questo passo sarebbe comunque utile. L’unica conseguenza sarebbe l’ulteriore contrazione dell’offerta didattica e l’impossibilità di delineare un quadro chiaro a chi vuole iscriversi all’università. Adamo ha quindi fatto un richiamo al corpo dei ricercatori, un richiamo alla responsabilità di non danneggiare ulteriormente lo svolgimento della didattica. “Tanto- ha sottolineato il presidente- a quelli del ministero non importa niente se Tor Vergata ha difficoltà a garantire i corsi di laurea, quindi diamoci da fare insieme per non peggiorare ulteriormente le cose”.

A mio avviso, questa è l’ennesima dimostrazione della logica fatalistica e rinunciataria per cui nulla può cambiare. La riforma fa schifo, ma tanto nessuno ci ascolta, quindi tanto vale non fare danni ulteriori, anche perché c’è il rischio che poi l’opinione pubblica non capirebbe. Questo discorso lo sentivo fare anche durante la mobilitazione studentesca, quando ci dicevano: non occupate, se no la gente pensa che non volete fare niente e togliete il diritto di studio a chi vuole seguire le lezioni. In pratica: non fate casino, tanto è inutile.

Rispondo invece al professor Adamo e a chi, come lui, si rifà a questa logica. Per cambiare le cose bisogna farsi sentire il più possibile, rischiare e far sentire la propria voce. Sono d’accordo nel dire che bisogna garantire agli studenti un’offerta formativa chiara. Ma tanto questo non avviene già neanche oggi. E poi, che offerta si garantisce se è ricalcata sulla riforma Gelmini? Che università è quella pensata da questa classe dirigente, il cui chiaro scopo è strozzare l’istruzione pubblica?

Io penso invece che sarebbe bello ed utile se i ricercatori, tutti insieme, dicessero: a noi questa università non va bene, quindi noi lezioni non la facciamo. E sarebbe bello e utile se, seguendo questo esempio, i professori a contratto (di cui gran parte lavora per un euro all’anno) dicessero: a noi quest’università non va bene, quindi rinunciamo ai nostri contratti. E sarebbe bello e utile se i professori, tutti insieme, dopo essere stati tanto comodi nelle loro poltrone, dicessero: a noi questa università non piace, lasciamo i nostri incarichi. E sarebbe bello e utile se i presidi di tutti i livelli e i rettori, dicessero: di fronte a questa riforma, noi diamo le nostre dimissioni.

Lo so che è un discorso utopistico. Ma immaginate per un attimo una mobilitazione e una protesta simili. Siamo sicuri che il governo non faccia qualche passo indietro?

Diego Gavini

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Mentre al Senato si discute il disegno di legge Gelmini, in tutta Italia inizia una settimana di mobilitazioni per cercare di bloccare la nefasta riforma. Mobilitazione che sta passando abbastanza in silenzio sui media, presi dalla cricca, dalle intercettazioni e dalla crisi economica. Eppure è un fatto altrettanto importante.

Assemblee iniziano a moltiplicarsi nei vari atenei, come quella che si è svolta oggi a Tor Vergata, dove ricercatori e studenti si sono riuniti nella facoltà di Giurisprudenza, per poi occupare simbolicamente il rettorato.

Domani mattina è invece previsto un sit-in davanti al Senato.

La mobilitazione, anche se silenziosa, anche se si avvicina l’estate (e quindi gli esami), comincia a riprendere vita dunque. Ora occorre vedere che forma e che forza assumerà. Ma un fatto è certo. Questo è l’ultimo baluardo. Se la Gelmini non viene fermata neanche adesso, la situazione assume tinte tragiche (ovviamente non ce l’ho con la Gelmini, figurina ignava messa lì per fare il gioco sporco di altri).

Tragico non è un aggettivo esagerato in questo caso. Per due motivi molto semplici. Uno, è molto pratico. Se si va avanti su questa strada, già dal prossimo anno interi corsi di laurea e intere facoltà verranno fisicamente cancellati, oppure ridotti al lumicino. Il secondo motivo è molto più profondo. La distruzione dell’università pubblica che sta andando avanti da anni, arriverà al passo finale, verrà data l’ultima picconata. E l’università sarà consegnata ai poteri che hanno interessi ad investire (per proprio tornaconto) nella ricerca. Una ricerca quindi sempre più mercificata. L’università pubblica diventerà sempre più privata, perché le tasse, già ora alte, continueranno ad alzarsi. Si verrà a definire quel sistema (assai poco lungimirante, nonché poco democratico) per cui la ricerca avrà un fine solamente “aziendale”, per cui si tornerà ad accentuare l’immobilità sociale, per cui il concetto che istruzione è uguale a civiltà va cancellato a favore di una società che con le parole “civile” e “democratico” non vuole avere niente a che fare.

Di fronte a questa prospettiva, l’ultimo baluardo va costruito da tre punti di vista. Il primo è quello della mobilitazione congiunta di studenti-ricercatori-professori, una mobilitazione però molto più forte, coesa e continua di quella dell’Onda, una mobilitazione dura fino all’ultimo, perché ci deve essere la consapevolezza che questa rischia di essere una strada senza ritorno.

Il secondo aspetto è quello dei partiti d’opposizione. Opposizione che ha assistito silente ai primi tagli dell’anno scorso (altra cosa in cui ha fallito Veltroni, peraltro).  Ora i partiti dell’opposizione, PD in testa (ma non deve mancare neanche il contributo delle forze extra-parlamentari come Sinistra e Libertà e Rifondazione), devono far sentire la loro voce. Anche per far capire che non sono complici di questa vicenda. Il piano “Italia 2011” del PD mette istruzione e ricerca al primo posto, ed è già un primo passo. Ma serve di più. Serve un’opposizione battagliera che sia in grado di porre la vicenda in primo piano, facendo capire alla gente che si sta affrontando una questione nazionale, importante tanto quanto la crisi economica e la nuova tangentopoli.

Il terzo aspetto riguarda però anche la gente normale, anche chi non si interessa tanto di politica o chi magari non ha un figlio che va a scuola. Questo è infatti un problema che riguarda tutti. Anzi, riguarda più le famiglie che hanno bambini piccoli piuttosto che universitari che stanno terminano il loro percorso di studi. Ma riguarda soprattutto il paese, perché è sull’istruzione e sulla ricerca che si gioca il futuro e questo deve essere chiaro a chiunque. E’ ora che la gente, sempre così soporifera, in grado di riscaldarsi solo durante i mondiali, cominci ad essere meno indifferente.

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Ieri è iniziato il tour del Pd nelle università italiane con la prima delle dodici tappe programmate, svoltasi a Napoli. Da un lato il Partito democratico si sta dunque organizzando per coinvolgere forze attive alla creazione di un programma alternativo alla controriforma Gelmini. Dall’altro porta avanti la battaglia per ostacolare il più possibile l’approvazione definitiva del disegno di legge. Si accentua quindi sempre di più il risveglio del Pd su un tema così importante come quello dell’istruzione e della ricerca, dopo il silenzio e il sonno che ne hanno contraddistinto l’approccio due anni fa, durante l’agitazione dell’Onda Studentesca contro i tagli all’università.

Riportiamo l’articolo sulla conferenza stampa che si svolgerà oggi, in cui Anna Finocchiaro delinea le linee che saranno seguite dal Pd (fonte www.partitodemocratico.it)

Alle ore 12.00, presso la Sala del Direttivo del gruppo del PD, Palazzo Carpegna, la Presidente Anna Finocchiaro e i membri della Commissione Istruzione di Palazzo Madama, insieme a Marco Meloni, responsabile Università e Ricerca della Segreteria del PD, terranno una conferenza stampa per illustrare le posizioni del PD e per annunciare che la battaglia parlamentare contro la riforma Gelmini dell’Universita’ continuera’ anche nell’aula del Senato.

“Siamo convinti – afferma Anna Finocchiaro – che sia necessario riformare l’Universita’ per accrescerne autonomia e responsabilita’, ma il DDL Gelmini fa esattamente il contrario. E con i tagli annunciati dal Ministro Gelmini molti atenei già non riescono a funzionare, e nel 2011 non potranno pagare gli stipendi ai dipendenti, saranno costretti a chiudere. Questa e’ l’unica verita’ che e’ emersa in Commissione Istruzione e noi vogliamo denunciare al Paese la volonta’ di questo Governo e della maggioranza.

“Mentre negli altri Paesi la sfida dei Governi e’ quella di battere la crisi investendo nell’innovazione, nel sapere, nell’universita’ nel nostro paese Tremonti impone tagli indiscriminati e la Gelmini viene in Senato ad ammettere la propria impotenza. Nessuna risposta sulle risorse, nessuna prospettiva per i ricercatori. Noi abbiamo tenuto in Commissione un atteggiamento di grande responsabilita’. Il ministro non ha risposto alle nostre richieste. Stasera saremo in Commissione per non regalare al Governo l’approvazione rapida di una riforma che in questa forma merita solo di essere contrastata – conclude la Presidente dei senatori del PD. Noi vogliamo una riforma vera, più incisiva e coraggiosa, e chiediamo al Governo di fermarsi, di pensare responsabilmente a questo tema, centrale per la competitività del Paese. Se le risposte continueranno a essere inconsistenti e insoddisfacenti, continueremo la nostra battaglia in Aula per denunciare l’ennesimo atto di un Governo che non ha a cuore il futuro del Paese e in particolare dei suoi giovani”.

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Cresce il laboratorio del Pd per la costruzione di una vera alternativa di governo con il prendere sempre più forma del progetto “Italia 2011”. L’idea è quella di individuare dieci parole chiave su cui sviluppare la linea del partito, attraverso un disegno ad ampio respiro che metta insieme le idee dei forum che già stanno lavorando sui temi principali, dei circoli e della mobilitazione cittadina, un vero work in progress che ha la speranza di convogliare le energie migliori sul programma del Pd.

L’obiettivo è quello di completare questo difficile lavoro entro la fine dell’anno. Momenti salienti saranno tre assemble programmatiche del Pd, di cui la prima già in agenda per il 21 e il 22 maggio; assemblee che avranno il compito di tradurre le diverse idee nell’atto pratico di presentazione di diverse proposte di legge.

La prima parola chiave è, come già abbiamo scritto, “sapere”, ovvero la centralità dell’istruzione come base imprescindibile per ripartire. Altre sono già state individuate in: lavoro, riforme istituzionali, green economy e giustizia. Lo scopo è completare questo quadro.

Secondo Bersani quattro devono essere i principi-guida di questo laboratorio: la capacità di innovazione, la consapevolezza che assicurare il lavoro restituisce un orizzonte per il futuro, il rispetto della Costituzione e l’idea che il federalismo deve rafforzare l’unità nazionale.

Certamente “Italia 2011” appare un progetto innovativo e affascinante. Tre sono però certamente gli ostacoli che deve superare il Pd per far sì che prenda corpo un disegno concreto e ambizioso e per far sì che non rimangano tutte parole:

1) deve avere la forza comunicativa di porre al centro dell’attenzione mediatica questo progetto, in modo da slegarsi dall’idea che si è formato nell’immaginario comune, per cui il Pd è un partito passivo che si limita a fare una blanda opposizione o che si fa trascinare solo dal berlusconismo

2) deve realmente convolgere le forze della società civile e dei circoli, unica via per far diventare questo laboratorio di idee un laboratorio popolare e realmente partecipativo; nell’atto pratico, deve veramente far convogliare l’attività dei circoli e della mobilitazione intorno a questa iniziativa

3) deve superare le sue divisioni interne, ed unire le varie forze intorno a questo progetto cercando una sintesi fra le diverse proposte

Diego Gavini

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Uno dei punti in cui è più evidente la scelleratezza del governo della destra è indubbiamente la distruzione che sta compiendo della scuola dell’obbligo e dell’università. Dietro ai tagli, dietro alla Gelmini, c’è lo smantellamento dell’istruzione e della ricerca, la destrutturazione di un sistema già abbastanza in crisi.

E’, a mio avviso, il segnale più evidente del malgoverno che abbiamo in Italia. E forse proprio per questo è una delle cose di cui si parla e si parlato di meno. Se non ci fosse stato il movimento studentesco contro la Gelmini probabilmente non se ne parlava neanche.

Il Pd ha tal proposito ha fatto poco e niente ad essere sinceri. L’allora segretario Veltroni non montò affatto la protesta e non portò avanti una seria proposta alternativa.

Ma ora il Pd torna a parlarne. Aggiungerei per fortuna, visto che è meglio tardi che mai. Nel piano “Italia 2011” presentato dal partito di Bersani, il problema dell’università è stato giustamente messo in primo piano, con un’idea molto semplice ma terribilmente vera: senza un’istruzione vera, questo paese sprofonderà.

Enrico Letta ha introdotto le proposte del Pd con una frase molto chiara: “Una buona riforma è alla base della ripartenza dello sviluppo economico del Paese. Il capitale umano è centrale”. Ed ora queste proposte faranno il giro degli atenei italiani, partendo il 10 maggio da Napoli, per condividerle e ad approfondirle con i corpi interessati, studenti, ricercatori e professori, in un tour che si concluderà a luglio.

Impossibili da non condividere le parole di Bersani (il rimpianto è che i suoi predecessori non le hanno dette prime): la riforma della Gelmini è un clamoroso bidone, un taglio colossale in termini quantitativi e qualitativi mascherato dai discorsi sulla governance (il sistema di governo degli atenei). E ha finalmente detto quello che l’Onda (il movimento studentesco) ha sempre affermato: il taglio di 8 miliardi per la scuola e di 1,4 per l’università è una vergogna.

Il primo passo del disegno del Pd sull’università parte dalla constatazione del livello del sistema odierno dell’università e dei danni della Gelmini.

Iniziamo con le statistiche presentate in conferenza stampa. Rispetto ai paesi della Ue in Italia si ha il 12% di laureati contro il 26%; per ogni studente si investono 6.900 euro contro una media di 9.600; troppo alto poi il rapporto docenti\studenti. L’Italia poi investe appena lo 0,8% del Pil contro l’1,3% della media Ue.

Di fronte a strutture, aule, laboratori e residenze universitarie in una situazione già grave, si aggiunge la riduzione della legge 133 sul Fondo di Finanziamento Ordinario di ben 1,4 miliardi su 7 in quattro anni. Inoltre si sta arrivando velocemente il collasso: per legge da questo Fondo può essere utilizzato al massimo il 90% per gli stipendi del personale. La Corte dei Conti ha confermato che siamo invece praticamente al 100%. Che succederà fra un anno con la riduzione ancora maggiore del Fondo? Le università che riusciranno a sopravvivere, quale offerta formativa a lungo termine potranno garantire con la riduzione del Fondo e dei ricercatori?

Il ddl Gelmini non risolve poi alcun problema. I punti su cui maggiormente si sofferma sono la composizione dei Consigli di amministrazione e dei Senati accademici (aggiungo io: in pratica la ripartizione dei posti). Si è poi burocratizzata in ogni forma la vita degli atenei, con l’introduzione di nuove 170 norme e 500 regolamenti per controllare ogni singolo passaggio, il che porterà inevitabilmente a una sclerotizzazione dell’intero sistema.

Di fronte a questa situazione, il Pd afferma che vuole porre al centro della sua agenda politica (altra buona notizia) la situazione dell’istruzione, affermando che solo un disegno di ampio respiro e in un’ottica a lungo termine per rilanciare il settore realmente fondamentale del nostro paese.

Le idee del Partito Democratico vertono principalmente intorno a quattro nodi principali:

1) Gli studenti. Le parole chiave devono essere: diritto allo studio, welfare, promozione del merito. Per arrivare a questo occorre finanziare un programma nazionale di borse di studio e  ripartire le risorse per facilitare la mobilità, ridurre gli abbandoni e i tempi per arrivare alla laurea.

2) I ricercatori. Qui le parole chiave sono: percorsi rapidi e regole chiare. Serve, secondo il Pd, aprire l’università ad una nuova generazione di ricercatori: per far questo servono 100 milioni all’anno per garantire ai ricercatori di diventare docenti. Bisogna poi svecchiare quella che è la classe di professori più anziana: dopo i 65 anni solo chi è ancora impegnato in una ricerca attiva può continuare a svolgere compiti didattici. Va poi abolito il turn over della 133 che prevede un solo nuovo docente di fronte a cinque che vanno in pensione.

3) La Governance. In primo luogo occorre distinguere i ruoli di Senato Accademico e Consiglio d’Amministrazione per evitare pericolose commistioni. Servono poi regole precise per l’apertura agli esterni (aggiungo io: considerando che l’università deve essere pubblica e l’apporto esterno deve essere a solo vantaggio dell’università, non di chi ne vuole ricavare un personale tornaconto). Le risorse vanno poi ripartire su quattro parametri: numero degli studenti, valutazione di ricerca e didattica, diritto allo studio e coesione territoriale.

4) Risorse. Qui il discorso è molto semplice. Il taglio è una vergogna, considerando soprattutto che l’università italiana ha bisogno di molti soldi in più, non in meno. La proposta del Pd è dunque quella di eliminare i tagli e aumentare le risorse fino a pareggiare, nell’arco di dieci anni, la media europea.

Mi prolungo nel dare spazio a questo tema perché a mio avviso è realmente centrale per il destino dell’Italia. Un’istruzione di primissimo ordine garantisce due fattori fondamentali: la capacità di svilupparsi in maniera più feconda da un lato, una maggiore eguaglianza sociale dall’altro. La distruzione della scuola pubblica e della ricerca che va avanti da anni è non solo ottusa da un punto di vista produttivo e nella capacità di rinnovare i saperi, ma crea anche diseguaglianze da un punto di vista sociale. Il fatto che il Pd torni a porre tale questione al centro della sua agenda politica mi sembra un elemento che merita tutta l’attenzione possibile, nella speranza che tale slancio non si affievolisca.

A mio avviso mancano due punti a quelle che sono le idee e le proposte del Pd. Ma trattandosi di un interessante progetto di work in progress (oltre al tour, questi temi sono dibattuti in Forum universitario in cui si studiano i diversi aspetti del problema), non voglio escludere che prima o poi entrino nel panorama democratico:

1) occorre definire una vergogna l’incessante aumento dei fondi per la scuola privata a fronte della depauperizzazione delle risorse per l’istruzione pubblica, meccanismo che accentua quel divario di eguali possibilità cui accennavo sopra.

2) l’università pubblica deve sostituire i grandi atenei privati nel loro punto di forza: la capacità di collegare il mondo dell’istruzione con quello del lavoro. Tale funzione va infatti svolta da un’istituzione che garantisce una parità di accesso piuttosto che una selezione elitaria.

Diego Gavini

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Domani, 7 aprile, alle ore 14.00, presso l’auditorium Ennio Morricone della facoltà di Lettere e Filosofia di Tor Vergata, sarà presente un ospite d’eccezione: Carlo Verdone.

L’incontro è organizzato dal docente di Storia e critica del cinema, Giovanni Spagnoletti, per il Cine Social Club. Nella prima parte dell’appuntamento ci sarà la proiezione dell’ultimo film del regista romana, “Io, loro e Lara”, uscito sui grandi schermi italiani a gennaio. A seguire il professor Sanguinetti e il preside di facoltà, Rino Caputo, introduranno Carlo Verdone ad un dibattito a cui parteciperanno, inoltre, l’attrice Anna Bonaiuto e la sceneggiatrice Francesca Marciano. Sono poi previsti gli interventi dei giornalisti Filippo di Giacomo e Antonio D’Olivo.

E.M. e D.G.

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Qua a sinistra trovate una serie di foto che sono legate da un collegamento in apparenza poco chiaro. Con un po’ di pazienza, possiamo però tracciare una linea comune, che spieghi come dalla prima foto si possa arrivare all’ultima.

Come prima immagine abbiamo quella notissima di Berlusconi, impegnato in questi giorni nella sua ultima battaglia contro la magistratura.

In seguito c’è Dell’Utri, uomo di fiducia del premier. La mente che ha partorito Forza Italia, in pratica l’uomo che ha preparato la discesa in campo del Cavaliere.

Come terza foto, c’è quella dei neofascisti di Blocco Studentesco e Casa Pound, i responsabili dei fatti di Piazza Navona dell’anno scorso, e delle aggressioni di questi giorni all’università di Tor Vergata.

A seguire, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Una foto di qualche anno fa, di quando il giovane Alemanno non nascondeva la sua militanza fascista.

C’è poi Renata Polverini, candidata nelle fila del centro-destra nella corsa alle regionali, ritratta mentre si finge ultrà scatenata, nel tentativo di convincere i fascisti della Curva nord laziale a votarla.

Infine, abbiamo l’insegna dell’Università di Tor Vergata. Luogo in cui la parola cultura, con tutto quello che ne consegue, dovrebbe avere un certo peso.

Tentiamo ora di dare un senso a tutte queste immagini giustapposte.

Immaginate una piramide. Berlusconi ne è il vertice. Da cosa è caratterizzata principalmente l’azione del Cavaliere da quando governa l’Italia? Semplice, dalla delegittimazione. Deligittimazione della giustizia, dell’istruzione, delle istituzioni, e così via. In pratica delegittimazione del senso di Stato.

Come si propaga poi questo nel resto della società? Basta vedere il caso di Casa Pound e Blocco Studentesco, movimenti, in parte giovanili, di chiara matrice neo nazifascista, responsabili di episodi di violenza gratuita da due anni a questa parte. In pratica da quando al Comune siede Gianni Alemanno. Il quale, forse, non riesce a dimenticare del tutto il suo passato fascista. Anzi, se capita, finanzia anche qualche iniziativa di Casa Pound. Nonostante tutti sappiano cosa sia Casa Pound. Ma forse non lo sa neanche Marcello Dell’Utri, che diari di Mussolini in mano (peccato che siano falsi, se ne sono accorti tutti tranne Dell’Utri) va da questi giovani bibliotecari, a raccontargli quanto fosse bravo il duce. Ma se guardiamo poi alla Polverini, che va a elemosinare voti fra i fascisti che si fingono tifosi di calcio, cominciamo a capire meglio.

Cominciamo magari a capire che Alemanno e Polverini non è che non sanno chi sono questi loschi figuri. Lo sanno benissimo. E, che gli piacciano o no, sono voti.

Se personaggi simili quindi (mi riferisco agli appartenenti del Blocco o di Casa Pound) intrattengono rapporti con un uomo come Dell’Utri, forniscono la base elettorale del sindaco di Roma e della forse futura presidentessa del Lazio, forse da qualcuno sono legittimati a fare quello che fanno. O magari anche un po’ protetti. Così legittimati o protetti, che se mandano dei ragazzi in ospedale, se impediscono (cosa successa ieri) con altre violenze al rappresentante del Collettivo Lavori in Corso di presentarsi alla riunione del Senato accademico, cosa fa il rettore di Tor Vergata? Tace. Anzi, fa di peggio. Invia una lettera agli studenti, in cui accomuna Blocco Studentesco e Collettivo come due frange estreme coinvolte in risse personali, invitando poi gli studenti a non preoccuparsi di queste cose. E cosa fa il Preside della Facoltà di Lettere, facoltà presso cui da due giorni si svolgono assemblee per parlare dell’accaduto? Sparisce.

Ricolleghiamo quindi il tutto. La deligittimazione, il collasso istituzionale provocato dall’agire di Berlusconi, si ripercuote come un’onda in tutta la società. Un gruppo di picchiatori neofascisti, può circolare libero per Roma, perché le istituzioni di Roma sono collassate di fronte alla Storia. Le violenze di questi picchiatori, sono poi minimizzate dalle istituzioni universitarie. Ed è proprio presso l’Università, luogo di cultura, luogo che dovrebbe formare le personalità di domani non solo facendo collezionare esami ma fornendo un alto esempio di moralità, che il collasso istituzionale è più preoccupante. Perché significa che ormai la frattura è avvenuta, rischiando di trascinare tutto il resto con sé.

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La giornata di ieri, è stata segnata da un’ennesimo gravissimo episodio di violenza neofascista. Aggrediti diversi ragazzi, con una vera e propria azione squadrista: 6 sono stati portati in ospedale. Fra questi, uno dovrà essere operato per la rottura del setto nasale. Episodio ancor più grave, se pensiamo che ha avuto luogo presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Tor Vergata.

Lo scontro è nato a causa di un’iniziativa (tristemente finanziata dal rettore Renato Lauro con i soldi dell’università), indetta da una associazione Onlus, legata chiaramente a Blocco Studentesco e Casa Pound, ovvero due movimenti giovanili (e non solo) dichiaratamente neo-nazifascisti. Movimenti che oggi trovano sempre più spazio, se pensiamo che un progetto di Casa Pound è stato finanziato dallo stesso sindaco Alemanno con i soldi dei cittadini.

Di fronte a tale manifestazione, i ragazzi del Collettivo Lavori in Corso (movimento universitario presente da vent’anni a Tor Vergata) hanno organizzato un volantinaggio di controinformazione: accerchiati da un numero sovrabbondante di neofascisti (fra cui picchiatori di 40-50 anni), sono stati duramente aggrediti, ragazze comprese.

Oggi è stata poi indetta a mezzogiorno, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, una conferenza del Collettivo, per riportare la testimonianza diretta dei fatti. In seguito, gli stessi ragazzi si sono mossi in corteo fino al Senato Accademico, per chiedere che questi gruppi neofascisti non trovino più legittimazione da parte delle istituzioni universitarie. Nuovi scontri sono avvenuti anche davanti al Senato dove, ad aspettarli, vi era un cordone del Blocco Studentesco e di Casa Pound.

Questa la sintesi dei fatti. Fatti che aprono poi una serie di riflessioni:

1) imbarazzante il silenzio dell’istituzione universitaria. Oltre ad aver finanziato l’iniziativa “culturale” fascista, oggi, durante la conferenza, non vi era un solo rappresentante dell’università, all’infuori di alcuni professori e parte del personale amministrativo. Vergognosa l’assenza di Rino Caputo, presidente della Facoltà di Lettere. Presidente non nuovo a simili silenzi, se pensiamo che, appena qualche mese fa, di fronte ad un immenso striscione esposto all’interno di Lettere, recante la scritta “Basta con la discriminazione fascista”, non c’era traccia di Caputo. Assenza che ha permesso di esibire lo striscione per lunghe ore, in una vera e propria occupazione fascista dell’edificio. Ad aggravare l’episodio, il fatto che a capo di quel gruppo vi erano gli stessi responsabili degli scontri di Piazza Navona (durante le agitazioni dell’Onda studentesca), gli stessi che riportiamo nella foto. Silenzio-assenza che dimostra il collasso delle istituzioni democratiche di fronte alla violenza neofascista.

2) Scandalosa la dichiarazione di Sandra Silvestri, rappresentante al Senato Accadamico fra le fila di Azione Universitaria, che ha preso posizione a favore tdi Blocco Studentesco. Fortunaamente Azione Universitaria ha avuto la decedenza di prendere le distanze dalla sua esponente.

3) Mentre in Italia non si fa che parlare di Berlusconi e dei suoi guai, distogliendo l’attenzione da ciò che più è importante per il Paese, Roma, sotto la giunta Alemanno sta vivendo una vera e propria stagione di rinascita neofascista. E’ sotto tale giunta che infatti questo nuovo vigore neofascista sta trovando piena legittimazione: se la costituzione afferma che l’apologia del fascismo è reato, a Roma trovano ampio spazio proprio frange estreme come Blocco Studentesco e Casa Pound, le quali forniscono la base elettorale di questa destra, e da questa ricevono protezione. In questa deriva si è inserita la stessa Polverini, a caccia di voti proprio fra questi personaggi, se pensiamo che domenica era allo stadio fra i fascisti della curva laziale, e ieri, a proposito dei fatti di Giurisprudenza, si è limitata a dire: “questi scontri non fanno bene alla gente, che vuole sentire parlare dei problemi reali”, con un qualunquismo per cui dovrebbe provare vergogna. Certamente se la Polverini vincerà questa tornata elettorale, fra lei ed Alemanno, calerà una nube “nera” sul Lazio.

D.G. e E.M.

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