Uno dei punti in cui è più evidente la scelleratezza del governo della destra è indubbiamente la distruzione che sta compiendo della scuola dell’obbligo e dell’università. Dietro ai tagli, dietro alla Gelmini, c’è lo smantellamento dell’istruzione e della ricerca, la destrutturazione di un sistema già abbastanza in crisi.
E’, a mio avviso, il segnale più evidente del malgoverno che abbiamo in Italia. E forse proprio per questo è una delle cose di cui si parla e si parlato di meno. Se non ci fosse stato il movimento studentesco contro la Gelmini probabilmente non se ne parlava neanche.
Il Pd ha tal proposito ha fatto poco e niente ad essere sinceri. L’allora segretario Veltroni non montò affatto la protesta e non portò avanti una seria proposta alternativa.
Ma ora il Pd torna a parlarne. Aggiungerei per fortuna, visto che è meglio tardi che mai. Nel piano “Italia 2011” presentato dal partito di Bersani, il problema dell’università è stato giustamente messo in primo piano, con un’idea molto semplice ma terribilmente vera: senza un’istruzione vera, questo paese sprofonderà.
Enrico Letta ha introdotto le proposte del Pd con una frase molto chiara: “Una buona riforma è alla base della ripartenza dello sviluppo economico del Paese. Il capitale umano è centrale”. Ed ora queste proposte faranno il giro degli atenei italiani, partendo il 10 maggio da Napoli, per condividerle e ad approfondirle con i corpi interessati, studenti, ricercatori e professori, in un tour che si concluderà a luglio.
Impossibili da non condividere le parole di Bersani (il rimpianto è che i suoi predecessori non le hanno dette prime): la riforma della Gelmini è un clamoroso bidone, un taglio colossale in termini quantitativi e qualitativi mascherato dai discorsi sulla governance (il sistema di governo degli atenei). E ha finalmente detto quello che l’Onda (il movimento studentesco) ha sempre affermato: il taglio di 8 miliardi per la scuola e di 1,4 per l’università è una vergogna.
Il primo passo del disegno del Pd sull’università parte dalla constatazione del livello del sistema odierno dell’università e dei danni della Gelmini.
Iniziamo con le statistiche presentate in conferenza stampa. Rispetto ai paesi della Ue in Italia si ha il 12% di laureati contro il 26%; per ogni studente si investono 6.900 euro contro una media di 9.600; troppo alto poi il rapporto docenti\studenti. L’Italia poi investe appena lo 0,8% del Pil contro l’1,3% della media Ue.
Di fronte a strutture, aule, laboratori e residenze universitarie in una situazione già grave, si aggiunge la riduzione della legge 133 sul Fondo di Finanziamento Ordinario di ben 1,4 miliardi su 7 in quattro anni. Inoltre si sta arrivando velocemente il collasso: per legge da questo Fondo può essere utilizzato al massimo il 90% per gli stipendi del personale. La Corte dei Conti ha confermato che siamo invece praticamente al 100%. Che succederà fra un anno con la riduzione ancora maggiore del Fondo? Le università che riusciranno a sopravvivere, quale offerta formativa a lungo termine potranno garantire con la riduzione del Fondo e dei ricercatori?
Il ddl Gelmini non risolve poi alcun problema. I punti su cui maggiormente si sofferma sono la composizione dei Consigli di amministrazione e dei Senati accademici (aggiungo io: in pratica la ripartizione dei posti). Si è poi burocratizzata in ogni forma la vita degli atenei, con l’introduzione di nuove 170 norme e 500 regolamenti per controllare ogni singolo passaggio, il che porterà inevitabilmente a una sclerotizzazione dell’intero sistema.
Di fronte a questa situazione, il Pd afferma che vuole porre al centro della sua agenda politica (altra buona notizia) la situazione dell’istruzione, affermando che solo un disegno di ampio respiro e in un’ottica a lungo termine per rilanciare il settore realmente fondamentale del nostro paese.
Le idee del Partito Democratico vertono principalmente intorno a quattro nodi principali:
1) Gli studenti. Le parole chiave devono essere: diritto allo studio, welfare, promozione del merito. Per arrivare a questo occorre finanziare un programma nazionale di borse di studio e ripartire le risorse per facilitare la mobilità, ridurre gli abbandoni e i tempi per arrivare alla laurea.
2) I ricercatori. Qui le parole chiave sono: percorsi rapidi e regole chiare. Serve, secondo il Pd, aprire l’università ad una nuova generazione di ricercatori: per far questo servono 100 milioni all’anno per garantire ai ricercatori di diventare docenti. Bisogna poi svecchiare quella che è la classe di professori più anziana: dopo i 65 anni solo chi è ancora impegnato in una ricerca attiva può continuare a svolgere compiti didattici. Va poi abolito il turn over della 133 che prevede un solo nuovo docente di fronte a cinque che vanno in pensione.
3) La Governance. In primo luogo occorre distinguere i ruoli di Senato Accademico e Consiglio d’Amministrazione per evitare pericolose commistioni. Servono poi regole precise per l’apertura agli esterni (aggiungo io: considerando che l’università deve essere pubblica e l’apporto esterno deve essere a solo vantaggio dell’università, non di chi ne vuole ricavare un personale tornaconto). Le risorse vanno poi ripartire su quattro parametri: numero degli studenti, valutazione di ricerca e didattica, diritto allo studio e coesione territoriale.
4) Risorse. Qui il discorso è molto semplice. Il taglio è una vergogna, considerando soprattutto che l’università italiana ha bisogno di molti soldi in più, non in meno. La proposta del Pd è dunque quella di eliminare i tagli e aumentare le risorse fino a pareggiare, nell’arco di dieci anni, la media europea.
Mi prolungo nel dare spazio a questo tema perché a mio avviso è realmente centrale per il destino dell’Italia. Un’istruzione di primissimo ordine garantisce due fattori fondamentali: la capacità di svilupparsi in maniera più feconda da un lato, una maggiore eguaglianza sociale dall’altro. La distruzione della scuola pubblica e della ricerca che va avanti da anni è non solo ottusa da un punto di vista produttivo e nella capacità di rinnovare i saperi, ma crea anche diseguaglianze da un punto di vista sociale. Il fatto che il Pd torni a porre tale questione al centro della sua agenda politica mi sembra un elemento che merita tutta l’attenzione possibile, nella speranza che tale slancio non si affievolisca.
A mio avviso mancano due punti a quelle che sono le idee e le proposte del Pd. Ma trattandosi di un interessante progetto di work in progress (oltre al tour, questi temi sono dibattuti in Forum universitario in cui si studiano i diversi aspetti del problema), non voglio escludere che prima o poi entrino nel panorama democratico:
1) occorre definire una vergogna l’incessante aumento dei fondi per la scuola privata a fronte della depauperizzazione delle risorse per l’istruzione pubblica, meccanismo che accentua quel divario di eguali possibilità cui accennavo sopra.
2) l’università pubblica deve sostituire i grandi atenei privati nel loro punto di forza: la capacità di collegare il mondo dell’istruzione con quello del lavoro. Tale funzione va infatti svolta da un’istituzione che garantisce una parità di accesso piuttosto che una selezione elitaria.
Diego Gavini
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